“Hanno tolto l’ergastolo a lui per darlo a noi”: lapidaria e rassegnata, Elena Trandafir, sorella e zia delle due donne assassinate a fucilate da Salvatore Montefusco, deve prendere atto con sgomento delle motivazioni con cui la Corte d’Assise di Modena ha negato il fine pena mai per l’assassino.
Doppio femminicidio: quale “comprensibilità umana”?
Motivazioni che appaiono assurde e sconvolgenti per un delitto avvenuto con modalità terribili (Montefusco ha sparato alla compagna e alla figlia davanti al figlio minore) all’interno del contesto familiare: non bastava negare le circostanze attenuanti, come chiesto dalla procura?
Intervistata da Repubblica, Elena non si capacita – e con lei politica e opinione pubblica – soprattutto per una frase contenuta nelle motivazioni: cosa significa, infatti, quella “comprensibilità umana” riferita a una mattanza finita con il colpo di grazia di una fucilata in testa?
“Mia sorella e mia nipote uccise per la seconda volta”
Come non comprendere Elena, invece, quando dice di provare “un dolore profondo e tanta rabbia, perché hanno ucciso mia sorella e mia nipote per la seconda volta”?
Elena contesta con forza anche le deliberazioni della Corte, quando sembrano fornire una giustificazione all’assassino “spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”.
La donna smentisce che Gabriela perseguitasse Montefusco. “Assolutamente no. Lui, tra l’altro, non ha mai abitato con loro. Si è trasferito a casa di mia sorella solo dopo aver saputo che lei lo aveva denunciato per maltrattamenti”.
“Sono state fatte 13 denunce – prosegue – Una l’ho fatta io personalmente, pregando i carabinieri di intervenire, perché sapevo che Salvatore avrebbe fatto loro del male. Però, non hanno fatto niente. Questo è quello che ci resta”.