Il giallo di via Carlo Poma a Roma, riguardante l’uccisione il 7 agosto 1990 della 21enne Simonetta Cesaroni, e il giallo di Arce, paesino vicino Frosinone, riguardante l’uccisione il 1° giugno 2001 della 18enne Serena Mollicone, continuano a collezionare colpi di scena, molti dei quali però non arrivano alla stampa.
Abbiamo perciò intervistato il perito criminologo Carmelo Lavorino, protagonista nei due gialli: in qualità di consulente in entrambi i casi e anche di autore di ben sei libri sul mistero di via Poma, del quale si occupa da 34 anni.
DOMANDA Ho saputo che lei ha sporto varie querele. Nei confronti di chi e per quali motivi? Perché questo atteggiamento di chiusura?
R – È chiaro che queste persone ne hanno fatto una questione personale e di vendetta contro il sottoscritto perché fagocitati da qualche “entità misteriosa” che è schiava dell’impianto accusatorio contro i Mottola e del livore contro il sottoscritto, impianto che – badi bene – abbiamo demolito per due volte e le sentenze d’assoluzione parlano in tal senso.
A proposito, mi chiedo come mai il Sindaco di Cassino non abbia preso le nostre difese e non ci abbia espresso la sua solidarietà, quando il 15 luglio 2022 venimmo aggrediti con tentativo di linciaggio da parte di una folla di esagitati all’uscita del Tribunale di Cassino, dopo la prima sentenza d’assoluzione.
Ulteriore aspetto gravissimo è che il Sindaco di Cassino e l’Assessore alla cultura abbiano avuto nei miei confronti un atteggiamento discriminatorio e d’odio, solo perché… non condivido le accuse contro i Mottola e ho contribuito alla loro assoluzione.
I miei libri da ardere e da distruggere sono secondo i suddetti signori “La Prova Scientifica nel Giallo di Arce” e “Scena del Crimine e Tracce Criminali”, perché hanno il peccato originale di essere… frutto della mia mente, delle mie idee e del mio ingegno.
Via Poma e Arce, due morti insolute
D – Che novità ci sono per il caso Serena Mollicone? Mi pare che siano più le polemiche che le certezze appurate dalla magistratura.
R – Sinora gli Inquirenti hanno fallito platealmente, prima quando puntarono il carrozziere Carmine Belli che facemmo assolvere in tutti e tre i gradi di giudizio, poi la famiglia Mottola che abbiamo fatto assolvere in Primo grado e in Appello. L’11 marzo 2025 ci sarà la Cassazione, che deciderà solo per la legittimità.
Se gli Inquirenti non accetteranno la nostra collaborazione per risolvere il caso, continueranno a girare dentro il deserto del nulla dove si sono infilati e dove continuano a vagare, sperperando le risorse dello Stato (economiche, di competenze, strumentali e operative).
Errori dei consulenti
Certamente i consulenti della Procura (pagati coi soldi del contribuente) hanno commesso grossi errori di impostazione dei problemi e di valutazione, quindi di conclusione. Dei consulenti delle parti civili preferisco non parlare.’
Le sentenze ci hanno dato ragione in tutto e per tutto:
1) la porta non è l’arma del delitto, cioè, Serena Mollicone non è stata spinta contro la porta della Caserma CC di Arce;
2) i microframmenti di legno rinvenuti sui nastri che avvolgevano il capo di Serena non provengono dalla porta;
3) il brigadiere Santino Tuzi, suicida, non è credibile;
4) contro i Mottola vi sono state solo congetture unite a vuoti sospetti;
5) i Mottola sono innocenti.
Sempre ignoto il killer di Simonetta
D – E per il delitto Cesaroni di via Poma che novità ci sono?
R – Siamo arrivati realmente all’ULTIMA CHANCE. Questa l’ho proposta io agli Inquirenti ed è stata accettata dall’ordinanza del Gip Dr.ssa Giulia Arcieri che ha riaperto le indagini.
L’ordinanza del Gip si riferisce a due indagini giornalistiche ed a sei esposti: un’indagine giornalistica è la mia, ed è concentrata nel libro “Via Poma – Inganno Strutturale Tre” che ho consegnato agli Inquirenti insieme con un esposto nel marzo del 2023, l’altra indagine giornalistica, a mio avviso, vale quanto il due di coppe con briscola a bastoni.
Dei suddetti sei esposti, cinque esposti sono pervenuti da Paola Cesaroni, sorella di Simonetta, il sesto è pervenuto da me. I cinque esposti di Paola Cesaroni sono basati
(a) sulle informazioni giornalistiche che sono solo inutili e non pertinenti sospetti, illazioni e pettegolezzi,
(b) su alcune mie indicazioni attinte da fonti aperte.
Il sesto esposto è quello presentato da me in Procura nel marzo 2023, dove allegavo il mio libro “Via Poma Inganno Strutturale Tre”, dove indico le piste da seguire, gli errori investigativi commessi dagli inquirenti, gli scenari da analizzare e da riscontrare; porto osservazioni ed analisi, indicazioni e conclusioni.
Rivedere gli indizi
D – Ce ne faccia l’elenco.
R 1) – L’assassino ha usato per trenta volte la mano sinistra contro Simonetta Cesaroni, sferrandole uno schiaffo alla tempia destra e 29 pugnalate sulle quattro zone simboliche del corpo: volto, petto, ventre e pube.
2) – L’assassino ha il gruppo sanguigno A tipizzato DQAlfa 4/4.
3) – Il sangue repertato sul telefono è dell’assassino ed è gruppo A tipizzato DQAlfa 4/4.
4) – Il sangue repertato sulla porta è sicuramente gruppo A, ma il DQAlfa non è 1.1./4 bensì è 4/4. quindi è dell’assassino. Vi sono moltissimi dubbi che il Gm del sangue sulla porta (esiguo) sia “a+”: il dato è di un’incertezza assoluta, quindi è da scartare.
5) – Vi è una probabilità su circa trecento che un soggetto sia mancino col sangue gruppo A tipizzato DQAlfa 4/4.
6) – L’assassino è territoriale del palazzo/condominio ed ha usufruito della complicità di un pulitore-rassettatore che lo ha coperto e protetto.
7) – L’assassino ha colpito prima delle ore 17 e non dopo le 17:30, quindi il momento zero è da anticipare.
8) – L’arma del delitto è un tagliacarte.
9) – L’assassino è stato molto fortunato
(A) perché gli Inquirenti hanno sbagliato soggetto sin dall’inizio, individuando come assassino il portiere Pietrino Vanacore, il quale, a mio avviso ed anche secondo gli Inquirenti, ha sicuramente pulito e rassettato la scena del crimine;
(B) perché il medico legale ha commesso troppe omissioni: non prese le temperature corporee ed ambientali, non tamponò il capezzolo sinistro della vittima, non analizzò lo stomaco della vittima e il contenuto, non analizzò i tagliacarte dell’ufficio, dimenticò per oltre 15 anni i calzini, il reggiseno e il top della vittima all’interno di una sola busta e quindi a contatto fra di essi.
L’ordinanza del Gip su via Poma
D – L’ordinanza del Gip invita a risolvere tutti i quesiti rappresentati e proposti nei sei esposti che riguardano la posizione di diverse persone, a dirimere alcuni aspetti tecnici e storici, indica di ascoltare ventisei persone.
R – Ripeto: sono certo che quelle indicazioni di Paola Cesaroni non collimanti con le mie non approderanno a nulla.
D – Di quali persone è il caso di approfondire le posizioni?
R) – Le posizioni da approfondire sono state pubblicate dai mezzi d’informazione: l’avv. Francesco Caracciolo Di Sarno; Giuseppa De Luca; Mario Vanacore; Salvatore Volponi; Salvatore Sibilia; la famiglia Macinati; i c.d. “poteri forti”, Fabio Guerritore.
Le prove scientifiche e le fotografie indicate dal Gip come da approfondire riguardano i vari sopralluoghi, le tracce di sangue, gli aspetti medico legali.
D – Come orientarsi nella folla dei sospettati?
R- SE seguiranno le mie indicazioni contenute nel libro “INGANNO STRUTTURALE TRE” e in “VIA POMA – ULTIMA CHANCE” aggiungendo specialissime attività investigative e d’intelligence il caso potrà essere risolto.
L’ordinanza del Gip Arcieri intende rimediare agli errori ed alle sedimentazioni dei fattoidi causati dalla cosiddetta INADEGUATEZZA INVESTIGATIVA, permette realmente l’ultima chance, indica
D – Perché per il delitto di via Poma si sospetta dei servizi segreti? Hanno alterato o impedito le indagini? Perché i servizi segreti avrebbero fato quello di cui si sospetta? Vale a dire, di avere depistato e di fatto impedito le indagini.
R – I servizi non hanno alcuna responsabilità sull’uccisione di Simonetta Cesaroni. Poiché l’Aiag dove lavorava per due giorni alla settimana la povera Simonetta era anche una sede informativa dei servizi, questi, ovviamente, appena hanno saputo dell’omicidio, sono intervenuti per fare sparire elementi relativi la sicurezza dello Stato e quella a riprova delle dinamiche interne, anche per motivi di riservatezza.
Tanto, avevano il convincimento che l’assassino fosse il portiere, quindi per loro il caso era chiuso e dovevano solo a pensare a proteggere la riservatezza.
Difatti, tutti i depistaggi, le omissioni e le sviste obbediscono al principio di sicurezza.
D – Cioè? Ci faccia un esempio.
R – Ad esempio, il computer dell’Aiag è stato manipolato in tempi a noi ignoti, per seminare maggior caos, per togliere certezze agli inquirenti, per fare risultare quello che si gradiva, per avvalorare alcuni dati incerti a proprio uso e consumo. Senza volerlo hanno protetto il vero assassino, di fatto è stato buttato il bambino con l’acqua sporca.
D – Ogni tanto si vocifera di sospetti sull’addetto alla portineria dell’epoca, Vanacore. Perché?
R – Il Capo della Squadra Mobile commissario Nicola Cavaliere disse: “Di dritto o di rovescio il portiere deve entrarci”.
Tutte le ipotesi accusatorie degli Inquirenti, cioè, quelle contro il portiere, contro Federico Valle, contro Raniero Busco e contro Mario Vanacore il figlio del portiere, vedono sempre e comunque l’opera di pulizia effettuata proprio dal portiere.
Vi sono ulteriori elementi che inducono gli Inquirenti a sospettare comunque del portierato, ne cito solo due:
1) le chiavi con il nastrino giallo (della vittima o all’interno dell’Aiag?) sequestrate alla moglie di Pietrino Vanacore (che non dovevano essere in mano a loro) rappresentano un fortissimo collegamento ancora irrisolto fra l’omicidio e la famiglia Vanacore, a prescindere dalla realtà dei fatti e dall’identità dell’assassino.
E 2) L’agendina rossa con la scritta “Lavazza” rinvenuta sulla scena del crimine ed erroneamente consegnata ai genitori di Simonetta non era della vittima, ma della famiglia Vanacore: oggi tale agendina è scomparsa.
L’agendina – nella ricostruzione logica e investigativa degli inquirenti per il processo Busco – viene collocata sulla/nella scena del crimine in seguito a un intervento autonomo di Pietrino Vanacore e/o di un suo famigliare. Tale evento è ritenuto dagli inquirenti fautori della congettura Busco come “Seconda catena causale”.