Aceto balsamico con mosto spagnolo, pasta italiana con grano ucraino

Aceto balsamico con mosto spagnolo, pasta italiana con grano ucraino
Il Corriere della Sera sull’Aceto balsamico di Modena

ROMA – Aceto balsamico di Modena fatto con mosto spagnolo, pasta italiana col grano ucraino. Riporta il Corriere che in Emilia si sussurra sempre più spesso che “nel balsamico, di Modena ormai c’è solo l’acqua“. Un’altra inchiesta, sempre del Corriere, ci informa che la pasta italiana viene fatta sempre di più col grano ucraino: le importazioni di grano dall’Ucraina sono quadruplicate in un anno, passando dalle 139 mila tonnellate del 2014 alle 579 mila del 2015.

Tenere d’occhio l’aceto balsamico di Modena Igp. È quello che si trova più spesso nelle nostre tavole, quello da prezzo più accessibile. Mentre l’aceto balsamico Dop viene prodotto solo con mosto cotto di uve modenesi (Trebbiano, Lambrusco, Spergola e Berzemino) e invecchiato almeno 12 anni: il prezzo non può che essere alto.

Nell’aceto balsamico di Modena Igp c’è invece più aceto che mosto (basta che non sia meno del 20%), il mosto non deve essere per forza cotto (può essere fermentato o concentrato: vale di meno) e ci può essere fino al 2% di caramello, usato come colorante. Inoltre il disciplinare consente ai produttori di non indicare sull’etichetta la provenienza della materia prima, che in gran parte non è modenese. Spiega Isabella Fantigrossi sul Corriere:

L’aceto balsamico di Modena Igp, invece, dal costo più accessibile e di fatto pensato per un uso più quotidiano, è una miscela di mosto, che può essere fermentato, cotto o anche concentrato, e di aceto di vino con l’aggiunta, consentita fino a un massimo del 2 per cento, di caramello (E150d) per stabilizzarne il colore. Il disciplinare prevede inoltre che si debba usare una quantità di mosto, che è l’ingrediente nobile del balsamico tradizionale, di almeno il 20 per cento: ciò significa che in commercio esistono prodotti che ne contengono solo la quantità minima e sono fatti in prevalenza di aceto e perciò, per raggiungere il colore scuro tipico dell’aceto balsamico, vengono colorati con il caramello.

Il periodo di affinamento è di 60 giorni in tini di legno. Se il prodotto, invece, viene fatto invecchiare per un periodo superiore ai tre anni, l’aceto Igp di Modena può definirsi «invecchiato». Il disciplinare di produzione dell’Igp prevede, inoltre, che l’assemblaggio delle materie prime, l’elaborazione, l’affinamento e/o l’invecchiamento in recipienti di legno abbiano luogo obbligatoriamente nelle province di Modena e Reggio Emilia. Il prodotto finito può, invece, essere confezionato anche al di fuori della zona geografica di origine. Nulla si dice sull’origine della materia prima: al contrario del tradizionale, dunque, se ne può utilizzare di proveniente da qualunque parte del mondo.

[…] «L’Aceto Balsamico di Modena IGP è considerato, per la sua unicità, un simbolo della cultura e della storia di Modena». E ancora: «Il disciplinare IGP prevede che il mosto cotto o concentrato provenga da soli sette vitigni, tutti tipici delle zone di Modena e Reggio Emilia: Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana, Ancellotta, Fortana, Montuni»

Ma gran parte dei produttori di Igp utilizzano ingredienti non modenesi né reggiani. Sono gli stessi produttori ad ammetterlo. Secondo i dati forniti su nostra richiesta dal consorzio Igp, il mosto cotto concentrato arriva per il 48,47 per cento dall’Emilia Romagna, per il 46,93 per cento dalla Puglia, per il 3,28 per cento dalla Sicilia e per l’1,32 per cento dalla Lombardia, per un totale di 44.119 tonnellate. «Per l’aceto di vino, invece – riferisce il Consorzio –, la percentuale che viene dall’estero è bassissima ma non abbiamo alcun dato da fornire»

Ma ci sono produttori che ammettono l’uso anche di mosto che arriva dall’estero. «[…]soprattutto da Francia, Spagna o Portogallo. Non è un’oscenità potersi servire di materia prima che arriva da fuori Modena ma una manna dal cielo per la produzione» […] «Il mosto cotto italiano costa in media dai 3 ai 6 euro al litro, quello spagnolo anche meno di 1 euro: è chiaro che così molti sono invogliati ad acquistare materia prima fuori Italia»

[…] Ma, alla fine, come fa il consumatore a difendersi con le regole attuali? Intanto leggendo l’elenco degli ingredienti: «L’ingrediente principale, cioè il primo della lista, dovrebbe essere il mosto e non l’aceto di vino», spiega Tintori. «Inoltre non dovrebbe esserci il caramello, cioè un colorante, che viene utilizzato quando tra gli ingredienti c’è troppo aceto e perciò il colore finale non è quello che il consumatore si aspetta per un balsamico». Non solo. «Il balsamico migliore è quello prodotto con mosto cotto e non con quello concentrato, un ingrediente di qualità inferiore, un po’ come il concentrato di pomodoro rispetto alla passata» […] E anche dal prezzo qualcosa si può capire. «Quando un aceto balsamico da 250 ml costa molto meno di 10 euro – continua Simone Tintori – si fa un po’ fatica a credere che sia un prodotto di qualità».

Dall’aceto alla pasta, da Modena a Bari, nel cui porto c’è una nave carica carica di… grano ucraino. Sempre più richiesto dai marchi italiani di pasta che devono reggere la concorrenza agguerrita dei turchi e per farlo spostano i pastifici all’est. Importano insomma la materia prima ed esportano il lavoro. I produttori di grano e gli operai non possono certo esserne contenti. Spiega Francesco De Augustinis sul Corriere:

Per quanto riguarda il grano duro, nei primi sei mesi del 2016 i produttori agricoli italiani hanno lamentato a più riprese manovre speculative che avrebbero reso troppo bassi i prezzi di vendita. «Sono tre le navi all’ormeggio al porto di Bari che stanno scaricando 69,244 tonnellate di prodotto», ha denunciato in ultimo pochi giorni fa il presidente di Coldiretti Puglia Gianni Cantele. «Il prezzo del grano locale alla borsa merci è sceso in dieci giorni da 24 a 22,5 euro al quintale, a dimostrazione di quanto le flessioni dei prezzi siano strettamente collegate all’invasione di prodotto estero». Secondo le stime dell’associazione di categoria, nel 2015 sono state importate in Italia 2,3 milioni di tonnellate di grano duro, circa il 40 per cento del fabbisogno per la pasta.

Lo stesso fenomeno è letto in tutt’altra ottica dall’industria molitoria e della pasta. «Il grano dall’estero è sempre arrivato e non ha mai influito. L’anno scorso il prezzo del grano aveva toccato anche i 350-400 euro (35-40 al quintale, ndr) e il grano dall’estero lo compravamo lo stesso», sostiene Gennaro Mininni, titolare di una delle principali industrie molitorie della Puglia. «Ha influito magari il fatto che l’anno scorso con quel prezzo del grano, i pastifici italiani facevano fatica a vendere all’estero, perché anche all’estero si stanno attrezzando, stanno mettendo su grossi pastifici».

La competitività dell’export di pasta, di cui l’Italia è leader globale esportando il 58 per cento della produzione nazionale, è minacciata dalla crescita di esportazioni di Paesi come la Turchia, già secondo esportatore al mondo nel 2013 (dati Aidepi/International Pasta Organisation), forti di costi minori di produzione. A questa minaccia risponde lo spostamento in paesi dell’Est Europa, come la Romania, di alcuni pastifici di grandi produttori italiani, in genere per linee dedicate all’export. Alla stessa minaccia potrebbe rispondere il rinnovato interesse del nostro mercato verso il grano dell’est, più competitivo rispetto ai grani considerati «pregiati» di Canada, Australia o Francia, che secondo l’industria dei pastai Aidepi «possono arrivare a costare anche il 10-15% in più di quelli nazionali».

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