ROMA – Cioccolata-story: il cacao da Montezuma ai giorni nostri. Occhio terrestri: stiamo per finire la cioccolata. Quest’anno ne consumeremo 70 mila tonnellate in più rispetto a quella prodotta. Se continuiamo a mangiarla a questi ritmi, nel 2020 rimarremo senza, stando all’allarme lanciato dalla Mars, uno dei colossi dell’industria dolciaria mondiale.
Stiamo vivendo insomma gli ultimi anni in cui potremo bere una cioccolata o addentare una tavoletta? Flavio Pompetti sul Messaggero ricostruisce la storia di una delle piante (il cacao) e delle bevande (la cioccolata) più apprezzate al mondo. Che quando fu importata dalle Americhe fu bollata come una “diavoleria”:
LA DIAVOLERIA Nel 1516 il re Azteco Montezuma offrì al conquistador Hernan Cortez per la prima volta in una coppa d’oro la “bevanda degli dei”, una miscela amara di chicchi di cacao macinati, che nel racconto del condottiero-esploratore «Forniva ad un viaggiatore energia per un giorno intero di cammino». Al ritorno in patria il seme esotico fu criticato come gran parte delle diavolerie che venivano dal nuovo mondo, come il mais, la patata e il pomodoro.
Cento anni dopo era già alla corte di Francia, offerto come stimolante in occasione del matrimonio di Luigi XIII con l’adolescente Anna d’Austria. Ci vollero altri due secoli prima che l’olandese van Houten riuscisse a pressare la polvere di cacao per ridurla a una pasta burrosa, e pochi anni ancora prima che la ditta inglese Fry la perfezionasse con l’aggiunta dello zucchero, per creare il prodotto che oggi è divenuto onnipresente sui mercati mondiali.
PREZZI BASSI, RACCOLTO DIFFICILE La popolarità non ha coinciso finora con la lievitazione dei prezzi, perché il prodotto base viene dai paesi più poveri della terra. Il 73% del cacao è coltivato in Africa e il 15,3% nei paesi sudamericani. Le piante sono molto delicate: richiedono anni di cura prima di iniziare a produrre chicchi di cacao pronti per la raccolta, e una volta stabilite sul terreno subiscono la costante minaccia delle forze della natura. Sono bastati pochi anni di siccità in Ghana e in Costa D’Avorio per insidiare le scorte mondiali, così come in Brasile e Costarica la poderosa domanda americana di mais ha convinto molti contadini a sradicare le piante di cacao, con l’effetto di impoverire ulteriormente un mercato già devastato dall’infezione del fungo Scopa della Strega.
LA CRISI DEL CACAO Quest’anno poi la crisi sanitaria dell’Ebola ha aggravato la situazione nell’Africa Occidentale, con il ritardo della raccolta e del trasporto dei chicchi di cacao. Negli ultimi sei anni però, mentre il fungo azzerava l’intera produzione dello stato brasiliano di Bahia, e il prezzo all’ingrosso del cacao cresceva dell’87% fino a sfiorare i 2.800 dollari per una tonnellata di cacao, gli agronomi hanno iniziato a manipolare geneticamente le piante, per crearne di nuove e resistenti ai batteri. La ricerca ha avuto successo, ma i nuovi ibridi prodotti in laboratorio lasciano a desiderare nella qualità più importante per il prodotto finale: il gusto.
Siamo quindi arrivati a una situazione di compromesso, nella quale gran parte dei produttori di cioccolato aggiungono quantità sempre più rilevanti di additivi, per sopperire alla mancanza di cacao, come vaniglia, grassi vegetali, profumi alimentari sintetici; mentre cresce anche la presenza di noci e di frutta candita per aumentare il volume delle tavolette confezionate.
All’estremo opposto sta prendendo forma una percentuale crescente di produzione di alta qualità, esattamente come è accaduto negli ultimi decenni nel campo dei vini. Cioccolata ottenuta con miscele sapienti di semi di cacao provenienti da diverse parti del mondo. Una mistura accurata di piante resistenti alle malattie, ed altre che arricchiscono il sapore con sfumature aristocratiche, e quindi sempre più costose.
Il risultato di queste dinamiche è che per sopravvivere nel tempo, la “bevanda degli dei” è destinata a trasformarsi in un prodotto adulto: sempre più sofisticato e più caro, e forse meno accessibile ai bambini.