ROMA – Le mille sagre italiane? “Un inganno per i turisti” e un danno per i ristoratori, che lamentano un calo di un quarto del loro fatturato dovuto al proliferare delle feste “tipiche”, che spesso di tipico hanno ben poco.
Corrado Zunino su Repubblica prende il caso della piccola Valle d’Aosta, dove si tengono 140 sagre, fra le quali quella dell’asado argentino e del pesce di mare che appaiono non proprio specialità valdostane. Del resto a Pontedera, fra Pisa e Firenze, è sempre un trionfo il “Bavierafest“, 800 km a sud della celebrata Baviera.
“Ci sono stati incontri tra ristoratori e pro loco per sminare il contenzioso. I primi hanno proposto di limitare le sagre tra maggio e giugno e poi a settembre, allungando la stagione. Non si è trovato accordo su base regionale. In Umbria i ristoranti, da sei mesi in attesa di un regolamento, hanno suggerito la tassazione delle sagre per evitare l’aumento generalizzato dell’Iva. Nel Comasco la Confcommercio è stata draconiana: una sola manifestazione al mese. A Marina di Massa la diatriba sulla festa del pesce è sfociata in danneggiamenti vandalici, a Volterra l’amministrazione ha iniziato a tagliare molte feste di piazza”.
Perché dilagano le sagre? Per ragioni poco culturali e molto fiscali:
“Le sagre italiane non avevano più niente di tipico e locale, di tradizionale e culturale. Erano diventate un modo per togliere clienti e incassi alla ristorazione quotidiana approfittando di un regime di vantaggio: tendoni montati in mattinata, controlli igienici precari, nessuna tassazione. E così, dopo aver realizzato la prima mappa delle sagre italiane e aver scoperto che erano arrivate al considerevole numero di 32 mila, di cui 26 mila concentrate tra giugno e settembre, la confederazione del commercio ha alzato il tiro: denuncia all’Antitrust e lettera alla Commissione europea, a cui si chiede l’apertura di una procedura d’infrazione per “concorrenza sleale e aiuto di Stato” (alla sciuscella di Patù, alle cucchiulelle di Roccabascerana)”.
Il giro d’affari è enorme:
“Se è vero, come il “dossier Conf” sostiene, che in Italia ogni comune organizza quattro sagre l’anno, e Cortona ne fa cinquanta e Sinalunga novantotto, il giro d’affari prende corpo: 700 milioni di euro in una stagione considerando l’incasso medio di una sagra nostrana sui 21mila euro. Il piatto piange. Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe (pubblici esercizi), dice: «Nel momento in cui le imprese sono chiamate a un supplemento di responsabilità non è più tollerabile che ci siano aree di privilegio: feste di partito, circoli privati, associazioni di promozione, sagre. C’è chi presidia il territorio e crea lavoro, chi entra nel mercato solo quando è conveniente. I sindaci devono mettere regole alle sagre»”.
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