Direttori giornali web non responsabili dei contenuti, “Dago” sarcastico: “Chi mi ripagherà?”

La Corte di Cassazione ha stabilito che i direttori delle testate web non sono responsabili per i contenuti diffamatori dei siti. Roberto D’Agostino, “deus ex machina” di Dagospia, ha reagito con una battuta: ”Dieci anni di sangue versato per nulla!”. Dagospia è infatti un sito “super cliccato” ma anche “super querelato”.

”Se sono ancora qui è perché dietro di me c’è mia moglie che mi ha salvato da tanti guai – ha assicurato “Dago” – altro che servizi segreti deviati”. Da quando è nato Dagospia, ”è stato un continuo”, ha raccontato D’Agostino, ”hanno sempre tentato di intimidirmi con sentenze e condanne pesanti, cifre assurde, una volta addirittura 160 mila euro, tanto che le condanne io le pago a rate, come i mobili”.

Certe volte ”mi viene da ridere, mi sembra che la libertà di informazione c’è solo se ha accanto una moglie ricca”. Tanti i processi finiti con una condanna e tanti quelli ancora in piedi, ”e adesso che faccio? chi mi ripaga?”. Impossibile quantificare i costi, ”mai fatto calcoli perché non voglio abbattermi e chiudere la baracca”, ha spiegato.

Poi il pensiero è tornato alle tante querele ricevute: ”Non capiscono l’ironia. E’ chiaro che quello che scrivo io non sono i dieci comandamenti. Faccio un sito per dare un punto di vista, che può anche essere sbagliato, lavoro sulla velocità, macino un sacco di notizie, posso sbagliare e allora sono disposto passare smentite, a mettermi in ginocchio sui ceci e cospargermi la testa di cenere. Invece spesso non mi mandano nemmeno una smentita, mi querelano direttamente”.

E quando arrivano le condanne le cifre sono salatissime, troppo, ha sostenuto D’Agostino, che ha puntato il dito anche sulla legge sulla stampa ”che è imbarazzante” e dovrebbe invece prevedere dei tetti per le richieste di risarcimento: “Tant’è. La verità è soggettiva, è questione di punti di vista – ha sostenuto Dago, che ha citato Rashomon, un film degli anni Cinquanta del giapponese Kurosawa – una parabola sulla relatività e sulle mille sfaccettature della verità”.

D’Agostino ha concluso con Tacito: “Per noi è un grande storico, per i suoi contemporanei un cronista pettegolo. Magari, chissà che anche io, tra qualche secolo…”.

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