ROMA – I crediti delle imprese con la Pubblica Amministrazione ammonterebbero a più del doppio di quanto preventivato: 150 miliardi di euro, contro i 71 “ufficiali” e che già costituiscono una zavorra pesantissima in un contesto di “credit crunch”, cioè l’impossibilità delle imprese stesse ad accedere al credito, per cui non hanno semplicemente più soldi non solo per investire, ma anche per finanziare il brevissimo termine. Una crisi di liquidità che ha intaccato anche la cassa.
Federico Fubini sul Corriere della Sera (12 marzo) riferisce sui veri conti sul debito sommerso della Pubblica Amministrazione (gli arretrati, le fatture non pagate ai suoi vari fornitori) citando il rapporto di Emanuele Padovani, docente a Bologna, per conto del gruppo di consulenza Van Dijk: proprio la mancanza di trasparenza e obbligo di rendicontare i debiti, rendono la matassa più ingarbugliata di quanto non sia. Una contabilizzazione accurata consente di stimare in quasi 70 miliardi di euro i debiti delle Regioni, 48,4 quelli dei Comuni, 19,6 le Province, più una quindicina di miliardi gli enti locali, senza per ora includere gli arretrati delle dodicimila aziende controllate o partecipate dagli stessi enti locali (7 miliardi).
Questa montagna di debito (fermiamoci ora a 150 miliardi) vale il 10% del Pil, grava su qualsiasi possibilità di ripresa: anche ammettendo, come fa il ministro del Tesoro Grilli, una inversione di tendenza nella seconda metà del 2013, senza liquidità le imprese italiane non potranno intercettare la ripresa, cioè approntare il necessario per gli ordini, le scorte, gli investimenti inevitabili per sostenere le sfide del mercato.
Il Sole 24 Ore (12 marzo) dedica al problema l’apertura, con un appello del presidente di Confindustria Squinzi a far presto con una necessaria terapia d’urto: restituire subito almeno 48 miliardi dei 71, per consentire investimenti per almeno 10 miliardi. D’altra parte, al netto del pessimo comportamento di un’amministrazione che non mantiene gli impegni come pretende invece facciano i suoi amministrati, come iniziare a restituire il dovuto alle imprese è un vero rebus.
I debiti commerciali dello Stato diventano debito pubblico solo dal momento in cui sono restituiti: si tratta di un formidabile disincentivo al loro pagamento. Immaginando una totale restituzione (per esempio con obbligazioni tipo Btp) dovremmo aspettarci una analoga crescita esponenziale del debito pubblico, con le ricadute che sappiamo nella fiducia degli investitori e le conseguenze sullo spread.
In teoria, è una proposta firmata Messori/Bassanini, si potrebbe invece proprio contabilizzare da subito i debiti non ancora escussi nella quota di debito pubblico: non ci sarebbe più l’incentivo a disattendere i pagamenti, i mercati dovrebbero ringraziare e non essere spaventati dall’operazione verità di uno Stato che non nasconde la polvere sotto i tappeti. Si tratta di una regola che farebbe emergere l’esposizione effettiva: in un secondo momento si dovrebbe conferire alla Cassa Depositi e Prestiti il mandato a rilevare i crediti delle imprese e consentire alle banche l’acquisto dei crediti certificati delle imprese con un piccolo sconto.
E, un’altra brutta notizia, completa il quadro: in Italia l’anno scorso sono state 47 mila le aziende non individuali che hanno accusato almeno un protesto: è il record di sempre. Lo affermano dati Cerved analizzati dall’ANSA: rispetto al 2007, ultimo anno pre-recessione, la crescita è del 45% e le costruzioni sono il settore più colpito.
I ritardi gravi, cioè oltre i due mesi, nei pagamenti delle imprese italiane ai loro fornitori tornano ai massimi della crisi. Erano praticati dal 5,7% del totale delle aziende nel secondo trimestre del 2012, dal 6,1% nel terzo trimestre, per salire al 7,1% a fine anno. Sono dati del database del Cerved, che monitora la abitudini di pagamento di oltre 2 milioni di imprese italiane, analizzati dall’ANSA.
Secondo il gruppo specializzato nell’analisi delle dinamiche aziendali, questi sono casi che “frequentemente sfociano in default”. Ufficialmente tra ottobre e dicembre le aziende italiane hanno regolato in media le proprie fatture in oltre 85 giorni, con un incremento dei ritardi gravi che riguarda tutte le fasce dimensionali d’impresa. Ma il dato più inquietante è a carico delle grandi aziende: sono quelle che possono godere di termini in fattura più vantaggiosi, ma la fetta in ampio ritardo di pagamento è cresciuta in un solo trimestre dal 6,9% all’8,2% del totale.
I commenti sono chiusi.