ROMA – Lavorare meno pur di continuare a lavorare, che non è lavorare meno lavorare tutti, piuttosto assottigliare le fette della torta del mercato del lavoro: “redistribuire lavoro”, a questo pensa il Governo già dal prossimo decreto.
Con la novità – dirompente non fossero già tempi di trasformazione epocale – della settimana lavorativa di 30 ore.
Non proprio a parità di salario, ma comunque largamente incentivata (4 punti in meno di cuneo fiscale,dal 33 al 29%) dallo Stato per i contratti stabili fino a 30 ore, una proposta di legge a firma Pd presentata a gennaio.
30 ore, part-time, stop straordinari
Il pacchetto complessivo dedicato alla difesa dell’occupazione prevede un azione di contenimento all’ecatombe di posti di lavoro che ci attende in 4 mosse.
Appunto gli incentivi ai contratti fino a 30 ore, part-time come prassi nella pubblica amministrazione e incentivi (sempre 4 punti di cuneo fiscale) per quelli nel settore privato, orario straordinario super tassato se oltre una certa soglia (il Pd pensa anche a una settimana di massimo 42 ore straordinari compresi).
Risultato atteso: 750 mila occupati in più all’anno.
Costo preventivato: 2,8 miliardi a regime
30 ore, incentivi fiscali (ma non parità di salario)
Stefano Lepri, deputato Pd e firmatario della proposta di legge, ha illustrato a Repubblica il meccanismo di incentivo per imprese e lavoratori (e spiegato perché l’automatismo “meno lavoro a parità di salario” non funzionerebbe, compromette la competitività come è successo in Francia che ha rapidamente rinnegato le 35 ore)
Se un datore vuole fare un contratto di 36 ore è libero di farlo, ma lo sgravio riguarda solo le prime 30 ore. E si distribuisce in modo paritario tra impresa (2 punti) e lavoratore (2 punti): l’impresa ha contributi più bassi da pagare, il lavoratore una busta paga un po’ più pesante. “Per uno stipendio di 2 mila euro lordi parliamo di 80 euro di sconto al mese”, spiega Lepri. (fonte La Repubblica)