Ospedali a Genova e in Liguria, la grande fuga, la Sanità fa crack, mentre il presidente della Liguria Giovanni Toti balla insieme con Orietta Berti e Albano sul palco del superCapodanno Genovese nella storica piazza De Ferrari.
Toti è giunto al settimo anno del suo “regno”, si sente prossimo al terzo mandato. La piazza è luogo epocale di tutti gli avvenimenti genovesi, la sanità ligure, sua maggiore competenza e responsabilità, esplode.
Il presidente esalta l’evento clou della sua Liguria, in diretta sulle rete Mediaset, tra lustrini, musica tradizionale e musica di oggi, mentre al Pronto Soccorso di san Martino il “fu Ospedale” con più letti in Europa, è invaso da una folla in attesa su barelle che non sanno più dove mettere, con tempi di attesa di ore e ore.
Mentre l’ospedale Galliera, creato dalla duchessa Maria Brignole Sale a fine Ottocento, in attesa da anni di una totale ristrutturazione fondamentale, ha davanti al suo Pronto Soccorso una fila di ambulanze, che non possono andarsene perché le barelle che hanno trasportato gli ammalati sono rimaste all’interno di quell’inferno di anticamera, dove non si sa più dove piazzare i malati in attesa, codici rossi, gialli, verdi, bianchi.
Una folla di cittadini in sofferenza che non ha saputo risolvere il suo problema di salute con la medicina territoriale e preme alle porte dell’ospedale spesso a ragione, ma molto spesso no. Il caso poteva essere risolto anche a casa.
Ecco l’immagine plastica della Liguria nei giorni del Covid che ha rialzato la testa, dell’influenza che non era mai stata così cattiva da 15 anni a questa parte.
Due anni dopo la pandemia, eccola la sanità ligure in ginocchio: ospedali vecchi e insufficienti, medici disperati per come sono trattati, ma impegnati a salvare il salvabile, infermieri in fuga perché obbligati a turni ossessivi, con paghe ridicole, concorsi spesso deserti per riempire i vuoti.
Eccola, da Ventimiglia a La Spezia, dove non si riesce a mettere la prima pietra a un nuovo ospedale, forse solo a quello leggendario che rinnova lo storico Gerolamo Gaslini, hub fondamentale per l’infanzia in Italia e ora anche nel Mediterraneo.
Il nuovo presidente, Edoardo Garrone, ha appena lanciato il nuovo Gaslini, un monoblocco da 11 piani sulla collina di Quarto.
I permessi ci sono e l’opera, attesa soprattutto per accogliere anche i genitori dei bambini in arrivo, sta partendo.
Ma il resto è fermo, malgrado le finte inaugurazioni a La Spezia, nuovo Ospedale Felettino, in Valle Armea, prima di Sanremo, ospedale del Ponente, a Genova Carignano, dove il nuovo Galliera sta diventando una barzelletta, sulla collina supertecnologica degli Erzelli, tra aziende digitali e uffici del futuro, dove da venti anni aspettano il trasloco della ex Facoltà di Ingegneria, più che una barzelletta, una farsa, mentre i bandi regionali per assegnare l’opera vanno desolatamente deserti.
E su tutto ciò, come una ciliegina sulla torta, arriva il rapporto sulla mobilità sanitaria in Italia, che piazza la Liguria tra le regioni dalle quali si fugge per farsi curare.
Questa fuga costa al bilancio regionale 115 milioni all’anno per pagare le cure esterne e piazza la regione al livello di quelle del Sud.
Se guardi la cartina che la stimatissima società di consulenza sanitaria Agena ha disegnato per spiegare cosa è successo nel 2022 nella mobilità sanitaria, la Liguria compare con il colore rosso, come tutte le regioni del Sud, salvo la Sardegna. Per ovvie ragioni di trasporto.
I liguri vanno a curarsi in Lombardia, in Piemonte, in Toscana soprattutto per problemi ortopedici, neurologici, neurochirurgici e anche oncologici. Il rosso di questa fuga è un abisso di 70 milioni di euro nel bilancio regionale, destinati già a salire nel 2023.
Come si spiega? In Liguria ci sono liste d’attesa da paura: 12 mesi per interventi al ginocchio, per protesi all’anca, ma anche per semplici esami di routine. Il settore della “grande fuga” più importante è quello dell’ortopedia: due liguri su tre vengono operati fuori regione. I pazienti che si sono rivolti a Milano, Alessandria o perfino a Massa per questo sono stati, nel 2022, 5.721 su 9.081 finiti sotto i ferri.
Di fronte a questo esodo la Regione sta cercando di tamponare con un intervento, recentemente annunciato, di 50 milioni di finanziamento per “abbattere” le liste di attesa, che significa aumentare organici e tempi di interventi, dilatando gli orari e le strutture.
Ma è una beffa, soprattutto perché molti dei medici che operano fuori dalla Liguria provengono spesso da ospedali e strutture liguri, dove avevano maturato competenze e capacità molto attrattive.
Hanno preferito “spostarsi”altrove, lasciando gli ospedali liguri, male organizzati, dove si verifica questa altra fuga, giustificata dal fatto che trovano altrove condizioni e fonti di guadagno nettamente migliori.
Ultimamente sta esplodendo il caso degli infermieri, fondamentali nell’assistenza ai malati, che soffrono condizioni spesso pesantissime, economicamente e nei turni, anche dopo i tempi eroici della pandemia.
Molti lasciano la Liguria e scelgono anche paesi lontani per continuare la professione, dove gli stipendi sono molto, ma molto più vantaggiosi.
Le fughe sono un fenomeno nazionale che costa alle Regioni 2,6 miliardi all’anno.
Sono in aumento dopo il Covid e non è difficile capire perché sopratutto in Liguria: non si tratta solo di interventi chirurgici, ma anche per una risonanza magnetica, una Tac o una visita specialistica, quasi sempre nel privato, che fa orari lunghi dalle 8 alle 20. Meglio perdere una giornata per fare una Risonanza a Milano, pagando solo il ticket, piuttosto che aspettare sei mesi a Genova, a Savona o alla Spezia.
Per non parlare dei ricoveri. I liguri scelgono prevalentemente Milano, Humanitas, s
San Donato, San Raffaele, Galeazzi. Trovano grande professionalità, mentalità imprenditoriale, marketing sanitario e comfort alberghiero. In Liguria l’ultima barriera era il San Martino di Genova, un ospedale che ha appena compiuto 100 anni e che aveva inaugurato il suo fiore all’occhiello, il Monoblocco nel 1971 con 13 piani e 900 posti letto.
Sono passati 53 anni e di nuovo non si è più visto nulla.
L’assessore alla Sanità Angelo Gratarola, un ottimo medico rianimatore, che Toti, dopo essersi tenuto per anni la delega alla Sanità, che gli ha permesso una grande visibilità durante la pandenia, ha gettato nel forno, chiedendogli di gestire la grande emergenza, sulla quale si erano impantanati anche i predecessori delle giunte di centro sinistra. Uno dopo l’altro.
E lui affronta l’emergenza, cercando di utilizzare quei 50 milioni per incentivare l’assistenza, soprattutto nelle sale operatorie. Ma punta anche a fare accordi con le pochissime strutture private che esistono in Liguria: Iclas a Rapallo e a Bordigera. Alma Mater a La Spezia.
Spera che qualche privato prenda in gestione l’ospedale di Albenga, sciaguratamente ristrutturato e lanciato per essere poi praticamente chiuso, se non per poche specialità anche marginali.
I medici se ne vanno uno ad uno, gli ortopedici che avevano una ottima scuola, dimettendosi dagli ospedali come il San Martino, e vanno anche in strutture private liguri, dove lavorano meno e guadagnano di più.
Altri aprono a Genova uno studio privato e consigliano i pazienti di andarsi a operare a Milano.
Peccato, perché se la Liguria avesse un sistema sanitario efficiente e moderno sarebbe nel Nord una Regione privilegiata per farsi curare, clima migliore, strutture spesso vicino al mare, condizioni ideali , per esempio, per le riabilitazioni.
Invece ora deve tamponare. Come mettere un dito in un rubinetto che perde. Non si riesce a fermare il getto che esce.
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