A 50 anni dalla legge che aprì immigrazione, Usa i più forti

Pubblicato il 5 Ottobre 2015 - 07:37 OLTRE 6 MESI FA
A 50 anni dalla legge che apri l'immigrazione, Usa più forti

Lyndon Johnson, presidente Usa, firma la nuova legge sulla immigrazione ai piedi della statua della Libertà: è il 3 ottobre 1965

NEW YORK – La legge sulla immigrazione che il Presidente americano Lyndon B. Johnson firmò 50 anni fa, il 3 ottobre del 1965, doveva contenere il flusso di immigranti dai continenti extra europei. Eliminava le quote di immigrazione che favorivano gli immigranti dall’Europa occidentale e settentrionale ma privilegiava il ricongiungimento familiare, col rischio di reintrodurre in questo modo i limiti di provenienza.
Invece, nota l’edizione on line del magazine The Atlantic, nel mezzo secolo successivo le correnti di immigrazione “cambiarono drammaticamente”:

“Nel 1960, sette immigranti su otto venivano dall’Europa; nel 2010, nove su dieci venivano dal resto del mondo e la quota di popolazione degli Usa costituita da nati fuori degli Stati Uniti è triplicata”.

The Atlantic non lo scrive, ma se si guarda avanti, gli Stati Uniti, grazie alla continua crescita demografica, conteranno nel 2050 su 438 milioni di abitanti, rispetto ai 296 di oggi mentre l’Europa, nei prossimi 25 anni, perderà 10 punti di quota della popolazione mondiale con effetto sul Pil di un calo di un terzo della quota mondiale.

Dallo sviluppo demografico di una regione del mondo dipende la sua crescita economica. La Germania ha iniziato  la sua crescita economica attorno al Mille, in coincidenza con un picco di sviluppo demografico, coincidente con la fine della pratica di ammazzare le bambine appena nate, come facevano nella Cina rurale e altre zone di povertà nel mondo.

Lyndon Johnson firmò lo Immigration and Nationality Act in uno scenario da togliere il fiato: sulla sponda di Liberty Island, ai piedi della statua della Libertà, a pochi metri dal mare, sullo sfondo dei grattacielo di New York.
Il Presidente Johnson minimizzò il potenziale dirompente della legge:

“La legge che firmiamo oggi non è una legge rivoluzionaria”.

La firma era stata preceduta da un intenso dibattito politico. Per la sinistra era il completamento di un grande cambiamento in senso democratico, avviato nel 1964 con l’estensione dei diritti civili a tutti i cittadini americani, neri o bianchi che fossero.
Per la destra sarebbe stata la fine della natura giudeo-cristiana degli Usa. L’idea prevalente era che

“essere un Musulmano Americano era una contraddizione in termini e che certe nazionaltà erano inferiori ad altre”.

La nuova legge apriva agli immigranti di tutte le nazionalità su basi più o meno uguali.
Per farla passare, però, i democratici dovettero accettare un compromesso imposto dai repubblicani, quello dei ricongiungimenti familiari.

La versione originale della legge sulla immigrazione doveva favorire gli immigranti le cui competenze tecniche e professionali fossero “paricolarmente vantaggiose” per gli Usa.
La modifica fu a favore della riunione delle famiglie, cosa che, nelle intenzioni, avrebbe preservato la prevalenza europea.

Invece accadde il contrario perché la preferenza accordata al ricongiungimento familiare,

“invece che replicare la struttura etnica esistente nella popolazione americana, portò al fenomeno della migrazione a catena. La naturalizzazione di un singolo immigrante di origine asiatica o africana o ispanica aprì la porta ai suoi fratelli e sorelle e ai loro coniugi, che a loro volta chiamarono i loro fratelli e sorelle. Nel giro di un decennio, il ricongiungimento familiare era diventato il principale driver della immigrazione negli Usa, favorendo esattamente quelle nazionalità che si era cercato di contenere, perché quelle erano le popolazioni che erano più determinate a trasferirsi”.