Troppi galli a cantare non si fa mai giorno dice popolare detto…E allora immaginate una efficace, competente, prontamente operativa e insieme capace di programmare gestione dell’acqua potabile in Italia. Immaginata? E allora dividete quel che avete immaginato per 2.552. Tanti sono ad oggi gli Enti di gestione dell’acqua nel paese dei “territori”. Fatta la divisione otterrete quel che dice altro proverbio: sminuzza ricchezza e avrai povertà. E infatti i 2.552 Enti di gestione dell’acqua italiana convivono con spreco dell’acqua stessa, perdita strutturale dalle condotte, scarsissima manutenzione degli impianti, quasi inesistente capacità di investire, zero capacità di “messa a terra” degli investimenti. Convivono con tutto questo, con una sorta di mala acqua? Probabilmente ne sono essi stessi, causa il loro numero spropositato, una delle cause.
Spropositato? Dipende a proposito di cosa. Il “territorio” che gli Enti di gestione dell’acqua devono coprire non è proprio e soltanto quello della geografia. E’ anche quello del sotto potere. O meglio, quello della creazione e mantenimento di posti di lavoro. Per capire bene e fino in fondo a cosa servono davvero duemilacinquecento Enti sparsi sul territorio italiano tutti a gestire la stessa acqua è appunto bene considerare che più dell’undici per cento del loro bilancio va in stipendi ai dipendenti, funzionari, dirigenti. A conti fatti un miliardo abbondante, molto abbondante, in retribuzioni. E’ questa la funzione sociale del gran numero di Enti. Erogare posti di lavoro, incarichi, retribuzioni. Costituire una rete capillare di uffici, attribuzioni, scrivanie, salari e stipendi. Non solo poltrone per i capi, anche semplici scrivanie e sedie per normale e brava gente che lavora. Lavorano a tenere in piedi la rete della spesa pubblica. La rete idrica è, se c’è, mezzo e non fine. Il fine primo, la ragione aziendal-sociale è la rete della spesa pubblica e del farci sopra pubblica occupazione.
No, tutt’altro. No, per niente. Tutta l’Italia è stata costruita ed ora è fatta su questi parametri e con questi connotati. Enti e governi Regionali e Comunali costruiti, quando non ideati, per farci lavorare dentro quanta più gente possibile. Era ed è questa la missione, la funzione sociale. E così anche per la scuola e la sanità. La prima da decenni messa al servizio dello scopo fondamentale: assorbire disoccupazione. La seconda con gemella funzione assegnata: assorbire spesa. Un’Italia fatta, costruita, voluta così da governati e governanti, dalla gente e dai politici, dai sindacati e dagli imprenditori, dalle lobby e dalla pubblica opinione, un’Italia dove la spesa pubblica resta più della metà del Pil eppure tutti e sempre (tutti e sempre!) implorano ed esigono più soldi pubblici, un’Italia così ha dismesso, omesso altre funzioni, anzi la stessa attitudine ad esercitarle.
Corpi e strutture pubbliche costruiti e voluti per metterci dentro più gente possibile non sono in grado di trasformare in fatti concreti, in cose concrete i circa 250 miliardi del Pnrr. Forse la metà, forse. E non è questione di burocrazia che rallenta. Sì, la burocrazia è pachidermica ma c’è ben poco che la burocrazia possa rallentare. Mancano tecnici, competenze, qualifiche, abitudini ed esperienze di lavoro secondo crono programmi. Ancora nel mondo dell’acqua: 532 dighe, di cui più di cento di fatto spente. Spente e non si sa perché. Il governo sta nominando Commissario speciale per l’acqua e contro la siccità. Per come è fatta la nostra struttura sociale, economica e politico amministrativa, ne sgorgheranno almeno un po’ di incarichi, impiegati, contratti di lavoro e retribuzioni in più.
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