Addizionali regionali: la rivoluzione “progressiva” voluta da Tremonti

Il governo e i governatori regionali (Lapresse)

ROMA – La manovra-bis di Ferragosto rivoluziona le addizionali Irpef  che Comuni e Regioni chiedono ai contribuenti. Queste addizionali dovranno essere “progressive” esattamente come succede con gli scaglioni di reddito nazionali.

Un Comune che prevede tre aliquote, per esempio, potrà chiedere il 2 per mille ai redditi fino a 15mila euro, il 4 per mille a quelli che superano i 15mila ma non arrivano a 28mila e il 6 per mille a chi sta sopra quest’ultima soglia. Ma non solo: chi dichiara 50 mila euro pagherà il 2 per mille fino a 15 mila, 4 per mille fino a 28 mila e 6 per mille solo sui restanti 22 mila euro.

E’ così che succede con il sistema tributario nazionale, che secondo l’articolo 53 della Costituzione è “informato a criteri di progressività”. Attualmente le aliquote sono 5: 23% fino a 15.ooo euro; 27% da 15.001 a 28.000 euro; 38% da 28.001 a 55.000 euro; 41% da 55.001 a 75.000 euro; 43% oltre i 75 mila euro.

L’adeguamento del locale al nazionale è deciso dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti nella manovra-bis “per assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso”. “Razionalità” e “progressività” però sono nemiche del bilancio delle Regioni, che adesso calcolano le aliquote differenziate (o non differenziate) sull’intero ammontare del reddito e non sugli scaglioni di reddito. Risultato: i contribuenti pagheranno un po’ di meno e meno incasseranno le Regioni.

In particolare quelle cinque che hanno messo addizionali con le aliquote differenziate: sono Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria e Umbria, in totale 16,4 milioni di contribuenti interessati. Si aprono, per gli enti locali, problemi di gettito: un nuovo fronte nel conflitto fra Stato e Regioni, innescatosi con la riforma del titolo quinto della Costituzione voluta nel 2001 da un governo di centrosinistra (Amato).

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