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Agenzia Entrate, premio di produzione fa il funzionario rapace e aggressivo

di Warsamé Dini Casali |29 Luglio 2014 10:11

Agenzia Entrate, premio di produzione fa il funzionario rapace e aggressivo

ROMA – Agenzia Entrate, premio di produzione fa il funzionario rapace e aggressivo. Nel 2011 (ultimo rilevamento noto) la parte fissa dello stipendio dei i dirigenti di seconda fascia è costata all’Agenzia delle Entrate 30 milioni di euro, quella variabile 25: significa che la retribuzione varia a seconda dei risultati, con bonus legato alle somme recuperate passate in giudicato.

Questa forma di incentivo serve a garantire professionalità di alto livello (quelli bravi vanno pagati), ma rischia di favorire l’aggressione fiscale. Federico Fubini su Repubblica riferisce di un dibattito in corso (oggi il nuovo capo dell’Agenzia Rossella Orlandi sarà ascoltata per la prima volta in Parlamento e potrebbe chiarire cosa ne pensa) e di un paio di esempi davvero poco edificanti di accanimento immotivato su un paio di imprenditori.

Che quello degli incentivi sia una procedura quantomeno discutibile e potenzialmente vessatoria lo dice anche l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco e, soprattutto, Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione. Cantone lamenta la circostanza per cui si paga qualcuno di più solo perché faccia il suo dovere. Visco vede rischi inevitabili: “Spero che Orlandi, il nuovo direttore, cambi linea rispetto al passato: pagare gli ispettori in base ai risultati può portare ad atteggiamenti molto aggressivi. Si costringono sotto ricatto gli imprenditori a fare adesioni (patteggiamenti sulle multe, ndr) in base a violazioni che in parte non c’erano o non c’erano per niente”. L’odissea di Umberto Angeloni, imprenditore, sembra confermare l’esito cui conduce un eccesso di zelo motivato anche da interesse personale.

Angeloni ha rilevato nel 2007 la Caruso Menswear di Parma, un’azienda di 600 addetti che produce moda da uomo per alcuni dei grandi gruppi globali del lusso. In quattro anni l’ha riportata in utile, ha fatto entrare con il 35% Fosun, il più grande fondo privato cinese, e ha sviluppato un marchio proprio. Fino a quando l’Agenzia delle Entrate ha suonato alla porta questa primavera. I controlli in azienda sono durati due mesi, e al termine le accuse si sono concentrate su certi incarichi per la comunicazione affidati nel 2009 a consulenti esterni. Le imprese di moda di solito spendono in promozione fra il 5% e il 10% del fatturato, la Caruso appena l’1%.

Ma l’Agenzia delle Entrate nel suo verbale giudica il piano di comunicazione della Caruso «non determinante per la strategia aziendale» e definisce le prestazioni dei consulenti «impersonali e generiche», tali che «potrebbero essere attribuite a qualunque soggetto sia esso esterno o anche interno alla stessa struttura aziendale». Suona come una valutazione di merito sugli spazi pubblicitari comprati dalla Caruso, ma su questa base è partita una richiesta di versare al fisco circa 100.000 euro in più. Per l’Agenzia delle Entrate, in altri termini, quell’investimento in comunicazione era «non determinante» e dunque fittizio. «Mettere in discussione la strategia dell’azienda per poi rigettarne le spese viola lo spirito della legge, lascia l’impresa vulnerabile all’abuso e distrugge la fiducia fra l’autorità fiscale e il contribuente» ribatte Angeloni, che nel frattempo ha speso già 50 mila euro per difendersi. (Federico Fubini, La Repubblica)

 

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