L’Europa chiede di incentivare il consumo (e quindi la produzione) di prodotti biologici certificati, ma il Governo punta ad altro.
La nostra Italia è famosa per la qualità del cibo e per l’eccellenza della sua produzione agricola. Proprio in questo senso, già da qualche anno, si cerca di puntare maggiormente sul biologico. Lo si fa per più ragioni. Innanzitutto per garantire ai consumatori prodotti più sicuri e di maggiore qualità. Il biologico è poi fondamentale per contribuire alla tutela dell’ambiente e della biodiversità.
Non soltanto vini biologici (prodotti secondo tradizioni secolari), olio extravergine d’oliva di qualità superiore, pomodori e agrumi… Sono tanti altri i prodotti d’eccellenza che vengono coltivati senza l’uso di pesticidi chimici di sintesi. La buona notizia è che il Paese ha già raggiunto quasi il 20% di superficie agricola certificata in agricoltura biologica, avvicinandosi parecchio all’obiettivo del 25% entro il 2030 stabilito dalle Strategie europee Farm to Fork e Biodiversità.
L’agricoltura biologica non è soltanto la scelta più sostenibile ma anche la più redditizia per le aziende e importante, a livello naturale, per poter affrontare gli effetti del cambiamento climatico (come la siccità che ha sconvolto molte Regioni negli ultimi mesi). Eppure c’è qualcuno a cui il concetto di biologico appare come un limite o un’inutile sofisticazione.
La denuncia arriva da parte del WWF Italia. La nota associazione di tutela simboleggiata dal panda ha criticato le posizioni del Ministero dell’Agricoltura, guidato dal ministro Francesco Lollobrigida. Si paventa infatti che il Governo Meloni voglia ostacolare la crescita dell’agricoltura che si allontana dall’uso di pesticidi trasformando in legge un decreto sulla “non conformità” dei prodotti biologici. Ma di cosa si tratta?
Il decreto in questione (il numero 148 del 6 ottobre 2023, entrato in vigore nel novembre successivo) aveva l’obiettivo di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni europee sulla produzione e l’etichettatura dei prodotti biologici. E per far ciò ha introdotto nel silenzio generale ciò che il WWF definisce una “presunzione di colpevolezza” per gli agricoltori biologici.
In pratica, chiede agli agricoltori che hanno scelto di gestire coltivazioni al 100% biologiche di dimostrare la non contaminazione accidentale da pesticidi dei loro prodotti. Il pericolo principale è che il decreto possa allontanare tanti imprenditori agricoli che hanno detto di no all’uso del chimico dai loro progetti di coltura sostenibile.
La contaminazione accidentale dei terreni coltivati in biologico è, secondo l’associazione, non solo imprevedibile ma anche inevitabile. Se avviene, è sempre per via di fattori esterni, non gestibili né contrastabili. Dunque non è possibile accusare gli agricoltori biologici di negligenza.
L’associazione ricorda anche che il concetto di “non contaminazione accidentale da pesticidi” non si applica in nessun altro degli Stati membri dell’Unione Europea. Capita ovviamente che gli agricoltori che usano metodi sostenibili debbano avere a che fare con la contaminazione ambientale, ma il più delle volte ciò è causato dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua e dai trattamenti con pesticidi utilizzati nei terreni confinanti.
Il decreto proposto dal Ministero dell’Agricoltura è quindi visto come ingiusto e punitivo: penalizza gli agricoltori biologici per fattori che sono del tutto fuori dal loro controllo. Ma il compito del Ministero, secondo l’associazione, dovrebbe essere quello di supportarli, aiutandoli ad adattare misure preventive per ridurre la contaminazione accidentale.
Norme più rigide potrebbero solo scoraggiare gli agricoltori dall’adozione di pratiche virtuose, con conseguenti impatti negativi sull’economia agricola, le esportazioni (tutto il mondo chiede prodotti biologici made in Italy) e sulla biodiversità.
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