Alcoa e Termini Imerese, difesa disperata di due fabbriche in crisi

Pubblicato il 29 Gennaio 2010 - 19:53| Aggiornato il 30 Gennaio 2010 OLTRE 6 MESI FA

Nelle ultime settimane tutta l’Italia sta assistendo alla disperata difesa di due fabbriche: una è lo stabilimento Alcoa di Portovesme (Cagliari), l’altra è l’impianto Fiat di Termini Imerese. La prima in Sardegna, la seconda in Sicilia. Il governo sta provando a salvarle, ma la crisi economica se le sta “mangiando”. E gli operai, in preda allo sconforto, stanno manifestando da mesi: in alcuni casi hanno inscenato proteste drammatiche, come quando sono saliti sui tetti delle rispettive aziende.

L’Alcoa è una multinazionale americana, leader nel settore dell’alluminio. L’azienda è sbarcata in Italia per un banale tornaconto economico: da noi pagava un prezzo vantaggioso per la fornitura dell’energia elettrica. Ma la Commissione Europea ha detto “basta” e ha chiesto la restituzione degli aiuti finanziari che l’Alcoa aveva ricevuto.

A quel punto la multinazionale ha pensato di chiudere i battenti in Italia. Questa decisione ha scatenato l’ira degli operai di Portovesne: da novembre i lavoratori hanno portato avanti alcune azioni eclatanti. E il 29 gennaio ha provocato anche la reazione del premier: Berlusconi ha scritto all’amministratore delegato dell’Alcoa, invitandolo a mantenere gli impianti in Italia. E ha aggiunto una velata “minaccia”: «Se non lo farete sono a rischio i rapporti tra governo e azienda».

Le proteste dei dipendenti sono cominciate il 20 novembre, con il sequestro del vicedirettore e del direttore dello stabilimento: gli operai li hanno tenuti chiusi all’interno della fabbrica. Nel frattempo altri operai sono saliti sui silos a 60 metri da terra: sono scesi il giorno dopo. Il 26 novembre la manifestazione dei dipendenti ha fatto registrare scontri e tensioni. Il 12 gennaio sono stati i dipendenti dello stabilimento veneto di Fusina a bloccare la Venezia–Mestre. Infine il 29 gennaio sono stati i lavoratori sardi a tornare protagonisti, quando hanno occupato per alcune ore la pista dell’aeroporto di Cagliari.

Termini Imerese è invece una delle fabbriche “storiche” della Fiat. L’azienda torinese ha fatto sapere che ogni auto assemblata costa 1000 euro più di quanto si ricavi a a venderla. Quindi ha annunciato che entro il 2011 si chiude, e che 30 mila dipendenti finiranno in cassa integrazione. La decisione ha trovato d’accordo il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ma il governo sta provando a “trattare” con la Fiat.

Il ministro per lo Sviluppo Economico Scajola sta cercando di mediare tra azienda, sindacati e autorità locali. Il 29 gennaio Scajola ha lanciato un “appello” alla Fiat perché ammorbidisca le proprie posizioni. Il gruppo automobilistico ha dato la disponibilità a cedere la fabbrica. Una soluzione definitiva non è stata trovata, insomma, ma le parti si riaggiorneranno a breve.

I sindacati hanno chiesto che la fabbrica rimanga “viva”, anche a costo di una riconversione. Invece il governatore Lombardo non ha approvato l’ipotesi della riconversione e ha chiesto una soluzione in tempi rapidi.

Anche qua, chi ci va di mezzo sono i lavoratori: dalla notte tra il 19 e il 20 gennaio gli operai sono saliti sul tetto e vi sono rimasti per 10 giorni. I dipendenti della Fiat sono rimasti sul capannone della ditta, resistendo al freddo e al gelo. Il 29 gennaio hanno cominciato a scendere. Ma è molto probabile che la protesta finisca qua.