ROMA – Esuberi Alitalia. Il ritmo di una giornata di trattative sindacali dure e tese, conclusa con la Cgil che ha chiesto 3 giorni di tempo per approfondire i termini, è descritto da Paolo Baroni sulla Stampa di Torino.
Le cose apparivano storte fin dal mattino: la Cgil, riferisce Paolo Baroni, “non era disposta ad accettare qualsiasi cosa” e “a fine giornata si è trovata in buona compagnia con le sigle dei piloti”.
Non solo:
“Anche le sigle del personale viaggiante, Anpac, Anpav e Avia, si sono premurate di far sapere che anche loro non avevano siglato l’intesa. Idem l’Usb. Poi è scoppiato il caso dell’accordo aziendale (un «testo mai visto e mai discusso») che ha mandato il tilt il confronto. Si doveva chiudere alle 11 del mattino si è arrivati alle 11 di sera per decidere di rinviare tutto a lunedì e la speranza di chiudere il giorno seguente”.
Non c’è solo la Cgil ad aver puntato i piedi sull’accordo aziendale fantasma. Riferisce Roberto Mania su Repubblica che Cisl, Uil e Ugl avevano accettato di firmare l’accordo quadro,
“poi hanno scoperto che conteneva anche un accordo aziendale che però non hanno mai trattato. Si sono dati un nuovo appuntamento per martedì, il giorno che coincide con la dead line della Cgil”.
La cronaca di Paolo Baroni ha inizio con le parole di Susanna Camusso entrando al ministero dei Trasporti venerdì mattina:
«Non c’è traccia della consistente riduzione degli esuberi». E già il termine delle 11 per fornire una risposta al governo andava a farsi benedire. «La trattativa ha i suoi tempi: se non si risolvono i problemi non si arriva a nessun accordo».
Bonanni prima e Angeletti più tardi usavano tutt’altri toni: per loro entro sera poteva arrivare l’accordo.
All’ora di pranzo il vertice veniva interrotto per un paio d’ore per consentire al governo di esaminare una serie di controproposte dei sindacati, quindi spuntava l’idea di gestire gli esuberi utilizzando la cassa integrazione straordinaria.
Ci si aggiornava per le 17 e si finiva in realtà per tornare a trattare solo poco prima delle venti con «l’ultima» proposta del governo: spariva la cigs ma Alitalia tagliava gli esuberi di altre 616 unità.
Per Cisl, Uil e Ugl poteva bastare, c’erano insomma le condizioni per firmare subito l’intesa e spianare la strada alle nozze tra Alitalia ed Ethiad già fissate per martedì, giorno in cui l’ad del gruppo degli Emirati planerà su Roma.
E la Cgil? Non solo non firmava l’intesa quadro sugli esuberi ma chiedeva altro tempo per valutare i testi. «Entro tre giorni daremo una risposta». Troppi i punti ancora non chiarire, troppe le questioni rimaste in sospeso.«Ci si chiede di firmare non un semplice accordo sugli esuberi ma un pacchetto di misure, peccato che non ci siano ancora tutti i testi e che alcune parti dell’intesa non siano mai state discusse prima» lamentava la delegazione delle Cgil. C’erano «pasticci» sui numeri, visto che il piano aziendale parlava di 2551 dipendenti in eccesso mentre l’accordo quadro messo a punto a fine giornata si fermava a 1600. E c’erano tanti altri nodi da chiarire, a cominciare dai contratti di ricollocazione,per i quali «manca ancora il regolamento attuativo del ministero. E poi bisogna ricordare che la Cai a settembre cessa la sua attività, lasciando di fatto senza un interlocutore tutti i dipendenti non riassorbiti».
Impossibile siglare un’intesa del genere, come era impossibile firmare a scatola chiusa, senza consultare i lavoratori, contratto di settore, contratto aziendale e un piano di riduzione del costo del lavoro da 30 milioni di euro. Come se non bastasse Ethiad chiede pure tre anni di pace sociale e la garanzia scritta individuale che i dipendenti che non passeranno alla nuova Alitalia non faranno causa alla società e non chiederanno nulla per il pregresso. Insomma, «una roba. che non sta né in cielo né in terra: inaccettabile».
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva proposto un percorso differente,
“che avrebbe certamente garantito di più i lavoratori: dei 13mila attuali dipendenti di Cai-Alitalia 11mila passavano alla nuova società, i 2mila restanti venivano collocati in cassa integrazione in attesa di essere mano a mano ricollocati. Per i circa mille che sarebbero rimasti una volta cessata la vecchia società si parlava di un anno di cig e a seguire la mesa in mobilità. «Avremmo firmato tutti, subito, ma l’azienda ci ha risposto di no»”.