Alluvione di tasse locali. Perché Tremonti apre la diga?

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Giulio Tremonti

ROMA-Un’alluvione di tasse locali, perché Tremonti apre la diga? Che alluvione sarà è fuori di dubbio: tra addizionali Irpef comunali e regionali da qui al 2015 ogni contribuente verrà chiamato a versare tra il due e il quattro per cento in più del suo reddito. Un’enormità che non potrà passare come adeguamenti silenzioso. La gente se ne accorgerà eccome e non farà festa, anzi cercherà a chi fare la festa per questo salasso. E allora perché, è forse impazzito Tremonti o si è convertito alla più volte bocciata e maledetta “religione fiscale” della sinistra per cui è dogma finanziare ogni pubblica e insopprimibile spesa con nuove tasse? Tremonti non è pazzo, è “federalista”. Quindi probabilmente convinto che tale livello di pressione fiscale a livello locale indurrà, costringerà i cittadini, territorio per territorio, a punire il ceto politico che super tassa, a selezionare ceto politico che spende meno e meglio il denaro pubblico. Insomma l’alluvione di tasse locali potrebbe accendere un “circolo virtuoso” di responsabilità tra contribuente-elettore e amministratore di pubblico denaro. Un modo drastico per aggredire quel che è invulnerabile da decenni: la spesa pubblica incontrollata e irresponsabile, anche politicamente irresponsabile. Può andare così, ma anche no. Se proprio chiamatia  scommettere, una puntata si può fare su altro esito e movimento del cittadino-elettore. Invece che andare in cerca della politica locale responsabile, invece che emettere punizioni elettorali, la gente, territorio per territorio, sottoposta a nuova pressione fiscale, potrebbe andare a caccia della “esenzione e recupero”. Esenzione di categoria e corporazione, recupero sotto forma di partecipazione più diretta per se stessi ed esclusiva nei confronti di altri della pubblica spesa. Il circuito messo in moto potrebbe risultate tutt’altro che virtuoso, anzi esaltare il vizio del chi può se la cava e peggio per gli altri e produrre un ceto politico locale che a questo si adatta, si presta e che per questa missione si forgia.

Ma Tremonti non è pazzo e non è solo federalista. Se apre la diga della alluvione di tasse a livello locale è anche perché pensa e lavora ad una dimunuzione della pressione fiscale a livello di Stato centrale. Tremonti non può, nessuno può pensare di sommare le due pressioni. Quindi la “riforma fiscale” nazionale prima o poi deve arrivare, almeno prima che la pressione fiscale “federale” diventi insostenibile per i cittadini elettori e contribuenti. Ma meno tasse “nazionali” dove e come? Se “meno tasse” riguarda categorie di reddito o produttive si rischia grosso di alimentare distorsioni e vizi italiani. Meno tasse sul reddito dichiarato è un regalo a chi non dichiara quel che guadagna. Meno tasse su categorie sociali è tenere in vita un sistema industriale che per responsabilità imprenditoriale e sindacale non produce innovazione, ricerca e produttività. Meno tasse che tengano in piedi il sistema delle corporazioni della distribuzione, del commercio, della rendita e della regolarizzazione a prescindere del lavoro precario sono cibo per un corpo sociale ed economico che cammina storto o non cammina più. Il meno tasse dovrebbe premiare selettivamente comparti e non categorie, scelte e non abitudini, cambio e non resistenza. Quale governo, quale maggioranza parlamentare, quale maggioranza sociale in Italia è in grado di concepire e reggere, quasi imporre una simile torsione che pure è indispensabile per quella che si chiama crescita? Crescita che, contrariamente a quanto pensano e desiderano quasi tutte le categorie non è aver soldi per continuare e riprendere come prima ma aver soldi per cambiare tutto, dalla scuola all’università, dal salario alla rendita, dal negozio all’intermediazione?

Dunque Tremonti pazzo non è ma c’è una “follia” nel suo metodo. Metodo e follia alquanto solitari: c’è da dubitare fortemente che Berlusconi abbia per natura e cultura consapevolezza del doppio cambio fiscale che Tremonti azzarda. Berlusconi e quasi tutto il ceto politico di governo e di maggioranza sembrano non disporre neanche della categorie concettuali per azzardare un simile piano. Che quindi risulta “folle” almeno quanto a possibilità di riuscita. Una “follia”, sempre meglio però della ricetta fiscale della sinistra che si ostina a inventare quote di reddito “esente”. Ventottomila euro di reddito: il Pd pensa di salvare dall’alluvione di tasse locali chi può aggrapparsi a questo salvagente. Sono i ventottomila euro che davvero guadagnano e dichiarano milioni di italiani e gli stessi 28mila che dichiarano altrettanti milioni che guadagnano il doppio. La sinistra, sempre giustamente a caccia di patrimoni veri da colpire fiscalmente i patromoni non li trova mai e, con alla mano una mappa truccata della ricchezza degli italiani, finisce per considerare “patrimonio abbiente” i 2.500 euro netti al mese. Se e quando la sinistra elaborerà un’altra e sua “follia” fiscale, ad esempio togliere ogni tassa sui contratti di lavoro a tempo inderteminato per chi è sotto i 35 anni e smettere di finanziare i servizi sociali oltre un certo livello di perdita di gestione, allora ci sarà l’ipotesi di un’alternativa. Altrimenti non resta che rischiare l’osso del collo con la “follia” di Tremonti.

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