BERLINO – Merkel difende export e rigore ma cede sul salario minimo (come voleva la Ue). Il cancelliere Angela Merkel, mentre continua ad elogiare l’azione di Mario Draghi alla Bce, irride la Commissione Ue definendo “assurda” la richiesta di indebolire artificialmente la competitività tedesca solo per allineare il suo surplus commerciale. Ma se sul piano internazionale non recede dalla posizione rigorista (ma non anti europea) per cui ogni paese deve fare ordine in casa sua senza attendere la cavalleria comunitaria, su quello interno deve ingoiare il prezzo delle larghe intese: per formare un governo di grosse koalition, i socialdemocratici chiedono e otterranno la concessione del salario minimo a 8,5 euro l’ora.
Il salario minimo non era certo nei programmi del centrodestra, preoccupato per gli effetti negativi su occupazione e competitività (“finiremo come la Francia”, temono gli imprenditori): realismo politico (senza la Spd un governo non si fa) esige però che il compromesso abbia successo. Per la soddisfazione dell’Unione europea che se non può sperare che la Germania davvero accetti di correre meno per fargli un favore, deve congratularsi per una mossa, il salario minimo, che aumenterà la domanda interna tedesca e favorirà i consumi (a vantaggio dell’export degli altri paesi).
Nonostante le ventate apertamente ostili all’Europa (dalla Bundesbank che sabota le decisioni Bce, alla Corte tedesca che pretestuosamente ha ancora una volta rinviato il parere sulla legittimità degli acquisti di debito dei paesi in difficoltà della Bce) Angela Merkel e Mario Draghi esibiscono reciprocamente posizioni distensive. Ma, a proposito di larghe intese, non è solo il salario minimo che in Europa ci si aspetta dal contributo socialdemocratico.
La trattativa tra Cdu e Spd potrebbe sboccare ad esiti molto gravi per l’Europa. Se davvero i socialdemocratici abbandonassero l’idea di un “Piano Marshall per l’Europa”, con lo stanziamento a livello europeo delle necessarie risorse, la crisi non verrebbe superata, la crescita sostenibile non ci sarebbe se non in misura insufficiente. Se davvero i due partiti si accordassero nel senso di varare una legge che istituisca un referendum nazionale sulle decisioni della Germania riguardo all’Europa, allora il revival di un orgoglio nazionale, che è chiaramente percepibile da alcuni anni, riceverebbe un impulso probabilmente inarrestabile. (Antonio Padoa-Schioppa, Il Sole 24 Ore)
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