L’antivirale molnupiravir (Lagevrio), usato come cura domiciliare contro il Covid, potrebbe aver favorito alcune mutazioni del virus, che si ritrovano in maniera caratteristica solo nei Paesi e nelle fasce di età in cui è stato usato il farmaco, e solo dal 2022, anno in cui è stato introdotto.
La notizia, riportata da La Repubblica, frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori inglesi coordinati dall’Università di Cambridge, era già uscita alla fine di gennaio in preprint, ovvero sotto forma di articolo caricato in rete senza la verifica di altri scienziati, ma ora ha passato il filtro della revisione di una rivista come Nature.
Il farmaco, autorizzato in emergenza con molti dubbi dalla FDA, la Food and Drug Administration alla fine del 2021 e poco dopo con entusiasmo dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), può provocare la formazioni di varianti.
L’antivirale molnupiravir è stato sviluppato dalla Emory University di Atlanta come farmaco antinfluenzale prima della pandemia. È stato poi riesaminato alla ricerca di un possibile rimedio contro il Covid. Ma fin dall’inizio il suo meccanismo d’azione, spiega La Repubblica, ha sollevato dubbi. Agisce sull’enzima responsabile della replicazione del materiale genetico del virus, cioè il suo Rna, provocando un numero così elevato di mutazioni da impedirgli di continuare a moltiplicarsi. Ma il farmaco può di fatto così agire come generatore di nuovi varianti capaci di diffondersi.
Alla fine del 2021, quando il farmaco riceveva le sue prime autorizzazioni, Omicron cominciava a diffondersi. E la pubblicazione su Nature mostra come interi lunghi rami dell’albero evolutivo di Sars-Cov-2 compaiono quasi esclusivamente nel 2022, dopo l’introduzione dell’antivirale, nelle fasce di età per cui era prescritto e fino a 100 volte più spesso nei Paesi in cui è stato autorizzato rispetto agli altri.
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