Antonio Mastrapasqua: “30mila enti inutili da tagliare. Statali non sono troppi”

Antonio Mastrapasqua
Antonio Mastrapasqua

ROMA – Trentamila enti inutili. Tanti. E comunque da tagliare perché fanno sì che i dipendenti pubblici siano distribuiti male. Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, in una lunga intervista  al Messaggero spiega la sua spending review. Una prospettiva non banale. Secondo il dirigente, infatti, non sono i dipendenti pubblici ad essere troppi, ma è la loro distribuzione a essere sbagliata.

Mastrapasqua, quindi, è scettico sui prepensionamenti e si dice cautamente ottimista su una possibile uscita dalla crisi.  Quindi il dirigente ribadisce la sua proposta shock: silenzio assenso se la pubblica amministrazione non risponde a cinque giorni.

Sulla crisi Mastrapasqua spiega:

“Anche l’Inps registra segnali incoraggianti. Da almeno tre mesi stiamo assistendo a una chiara, sia pure timida, inversione di tendenza sul fronte della cassa integrazione. Naturalmente sono dati provvisori, in attesa di conferme».

Sulla linea dei prepensionamenti nella pubblica amministrazione, invece, Mastrapasqua non nasconde più di qualche perplessità. Meglio una seria spending review che i tagli lineari, la sua linea:

“Se questa sarà la volontà del governo, l’Inps si muoverà di conseguenza. Personalmente non credo nei tagli lineari, sono invece un fautore della vera spending review. E sono convinto che un miglior utilizzo delle risorse umane, oltre a rendere più facile la vita ai cittadini aiuterebbe la crescita del Pil”.

Mastrapasqua, poi, evita risposte banali quando si parla di numero degli statali. Tre milioni? Troppi. No secondo il presidente Inps. Meno che in altri Paesi europei. Ma distribuiti male.

“Preferisco non entrare nel merito delle polemiche. Mi limito a osservare che non è dell’Italia il record di dipendenti pubblici. Francia e Germania ne hanno più di noi, e non solo nel settore previdenza e assistenza, dove peraltro i 32mila dipendenti Inps si confrontano con i 110 mila dell’istituzione omologa in Francia e i 65 mila in Germania. Il punto è che probabilmente questi lavoratori li abbiamo spesso impiegati in amministrazioni non sempre utili e non sempre efficienti. In Italia ci sono 30mila enti dichiarati inutili, forse è lì che si dovrebbero cercare i risparmi. Comunque, ogni piano concordato con le parti sociali è un contributo importante alla crescita”

Il Messaggero, quindi, chiede a Mastrapasqua di precisazioni sulla sua proposta “shock” quella di introdurre il “silenzio assenso” entro cinque giorni nella pubblica amministrazione. E il presidente Inps conferma:

Perché no. Una norma così perentoria renderebbe superato ogni provvedimento anticorruzione, cancellando in un sol colpo le occasioni di clientele o amicizie interessate all’interno dei sistemi di Pa. Uno shock che costringerebbe anche le amministrazioni a riorganizzarsi e a dare prova di efficienza, sottoponendosi alla valutazione più credibile: quella del merito, misurato direttamente dall’utente.

Perché ciò sia possibile è però necessario informatizzare in breve tempo tutta la Pubblica amministrazione.

“Sicuro. D’altro canto è una sfida alla quale l’Italia non può sottrarsi. Pensi che da quando l’invio dei certificati medici è stato reso obbligatorio in via telematica, nell’aprile 2010, ne sono stati emessi quasi 60 milioni. Ciò vuole dire che i cittadini, che erano costretti a inviare due raccomandate, una all’Inps e una al datore di lavoro, hanno speso circa 600milioni di euro in meno». È dal 1996 che gli italiani attendono informazioni sul nuovo regime pensionistico. Che fine ha fatto la busta arancione? «Un’osservazione preliminare: in Svezia, dove nasce il modello della busta arancione, la previdenza deriva dalla fiscalità generale e i cittadini sono 9 milioni, come la sola Lombardia. E’ evidente che in un contesto simile tutto è più semplice. Comunque, noi siamo pronti: l’operazione busta arancione potrebbe partire già entro l’autunno”.

Il Messaggero ricorda come anche al tempo del ministro Elsa Fornero l’operazione sembrava imminente, poi però tutto è finito nel congelatore.

“Non certo per responsabilità dell’Inps. In ogni caso, il confronto è ripartito con il ministro Giovannini. Il governo vuole opportunamente condividere la responsabilità delle informazioni diffuse su una materia tanto delicata, dove i giovani lavoratori devono simulare il loro futuro per poter avere un calcolo o una proiezione credibile. Non possiamo permetterci errori. Si deve prima decidere a quali scaglioni di richiedenti aprire il calcolo. E da quale previsione partire. Comunque, è ormai questione di poche settimane». Riforma Fornero: quale parte andrebbe riformata? «Trovo sbagliato parlare di riforma o di controriforma. E’ giusto parlare di manutenzione intelligente, non di stravolgimento. Del resto, la riforma stessa prevedeva l’apertura di un tavolo di monitoraggio. Ed è in questo quadro che va inserito il problema esodati. Il ministro Giovannini ha già comunicato al Parlamento che a settembre se ne riparlerà. Credo che un confronto con i sindacati sarebbe utile. Ma il margine di intervento deve essere contenuto nei termini del problema reale”

Infine gli esodati.  Basterà a risolvere il problema il terzo decreto in via di gestazione?

«Non sta a me dirlo. In ogni caso, il premier Letta ha assicurato che il governo farà la sua parte fino in fondo». In tema di welfare la parola tagli ricorre spesso. Davvero c’è ancora qualcosa da tagliare? «Premesso che l’Italia non spende più della media Ue, anzi è in linea con il 29% del Pil, il problema è come spende. Prima di parlare di tagli bisognerebbe valutare come riallocare la spesa. Per esempio, si spende troppo poco per le politiche attive per il lavoro. Naturalmente è anche un problema di efficienza dei centri per l’impiego, che in Italia intermediano poco più del 3% dell’occupazione contro il 10% della Germania, il 30% del Regno Unito e il 41% della Svezia». Insomma, basta tagli e in cambio una spesa più razionale. «Sicuro. Dobbiamo cominciare a vedere nel welfare un motore di sviluppo, non solo un centro di costo. E poi, perché tutto deve essere gratis per tutti? Perché chi ha redditi alti deve avere prestazioni come chi ha meno disponibilità? Penso ai ricoveri ospedalieri, penso all’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili. Diamo di più a chi ha meno togliendo qualche beneficio a chi può contare su più risorse proprie».

Sul fronte della previdenza, pubblico e privato spesso confliggono tra loro. Proprio non è possibile trovare spazi di collaborazione? «Al contrario, deve però cadere la prevenzione negativa che circonda i temi del welfare e della previdenza. Il paese ha bisogno di integrazione delle risorse. Naturalmente ciascuno secondo le proprie responsabilità e obiettivi, ma senza pregiudizi. Io credo che con la giusta educazione previdenziale, e la busta arancione aiuterà molto, questo obiettivo diventerà possibile». Mi risulta che a livello di governo si vorrebbe rimettere mano ad alcune norme sulla previdenza integrativa per renderla più facile, conveniente e competitiva. Ne ha sentito parlare? «Sì, e sarebbe una cosa giusta. Ma senza demonizzare quella obbligatoria mettendo in circolo leggende inverosimili. La pensione ci sarà e sarà commisurata ai versamenti”.

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