ROMA, 9 MAG – E' stata a lungo l'oggetto del desiderio di Mps. Ancora prima di finire nelle mani del Monte, pagata a peso d'oro, e' stata pero' l'ambita preda, quasi l'ossessione di gran parte del mondo bancario italiano ed europeo. A iniziare da Cesare Geronzi. E' proprio il banchiere romano a definirla cosi' per in una deposizione ai magistrati: l'oggetto del desiderio per la Bpi, appunto.
Lui in realta' e' il primo a volerla prendere, nel 2004, con l'appoggio del suo primo azionista Abn Amro; ma l'allora governatore Antonio Fazio dice di no perche' l'ha gia' promessa in sposa a Gianpiero Fiorani e alla sua Popolare di Lodi nel tentativo – prima riuscito e poi miseramente crollato con le intercettazioni dell'estate 2005 – di creare quel catenaccio in difesa dell'italianita' e del potere imperniato sulla vigilanza di Bankitalia dell'epoca, sul contropatto che nel frattempo scalava Bnl, e su alcune sponde politiche.
Quel no al matrimonio tra la Popolare di Padova e Roma porta alla rottura del sodalizio storico tra Fazio e Geronzi, ipotesi fino a quel punto tacciabile di eresia bancaria, e alla ribalta definitiva, prima di conoscere le inchieste e il carcere, di Fiorani, Stefano Ricucci e Danilo Coppola.
E' invece per il si' a Bpi-Antonveneta che il banchiere lodigiano avrebbe ''baciato in fronte'' il governatore nella famosa intercettazione che portera' all'epilogo del sistema.
Dopo l'intervento dei giudici Abn Amro torna alla carica e con un'opa nel 2006 conquista la banca veneta (all'epoca forte di circa 10 mila dipendenti e mille sportelli) e la toglie dal listino di Piazza Affari. Ma dura poco perche' poi e' la stessa Abn Amro, in contemporanea alla prima grande crisi dei mutui subprime, a diventare preda, magnifica anche lei, delle banche europee.
Si sfidano per Abn tutti i big del Vecchio Continente e in ultimo vince la cordata Rbs (poi affossata dalla crisi e nazionalizzata), Fortis (anch'essa a sua volta salvata da Bnp Paribas) e Santander. Ne segue uno spezzatino dell'istituto di Amsterdam: agli spagnoli tocca Antonveneta. Dai furbetti ai cantabrici a Mps il passo e' breve. Il presidente di Rocca Salimbeni, Giuseppe Mussari, convince Emilio Botin, il banchiere iberico per antonomasia, amico di Geronzi, socio di Mediobanca e del Sanpaolo fino alla fusione di quest'ultimo con Banca Intesa.
Gli argomenti usati sono del resto persuasivi: nove miliardi per la banca veneta, valutata solo pochi mesi prima poco piu' di sei miliardi. Per il Santander c'e' quindi una plusvalenza realizzata in poco tempo di 2,3 miliardi circa e soprattutto viene meno la necessita' di varare un aumento di capitale da 4 miliardi. Per finanziare l'operazione il Monte (che all'epoca capitalizza 12,6 miliardi) deve lanciare invece a inizio 2008 una ricapitalizzazione da 5 miliardi.
In questa cornice Mps mette in campo anche alcune cessioni e un piano di finanziamento sottoscritto interamente da JPMorgan a fronte dell'emissione di un prestito convertibile (FRESH) di un ammontare pari a un miliardo di euro. Operazione su cui oggi indaga la Procura di Siena accanto alle misure con cui la banca avrebbe reperito le risorse per ricapitalizzarsi. Un analogo strumento 'Fresh' era stato emesso nel 2003 e tutti e due sono stati portati all'esame della Vigilanza per essere convertiti e contabilizzati come capitale per rispettare i criteri imposti dall'Eba.
La Fondazione Mps e' della partita senza ''diluizioni sostanziali'' della sua maggioranza assoluta. L'Antitrust dara' il suo ok all'acquisto di Antonveneta poco dopo, anche se impone la vendita da 110 a 125 sportelli in 14 province italiane e lo scioglimento dei legami nel settore assicurativo con Unipol e Allianz. Sono, inoltre, previste misure per evitare il cumulo di incarichi tra banche concorrenti. Anche a grande crisi conclamata, nel 2008 dopo il crac Lehman, Mussari torna a difendere l'acquisto patavino e replica alle accuse di eccessiva spesa che arrivano da molti analisti subito dopo l'accordo col Santander: per lui il prezzo e' giusto e' anzi ''inferiore alla media delle acquisizioni di quel periodo, visto che abbiamo pagato circa 9 milioni di euro a sportello quando la media era di 9,8 milioni''.
Il peso via via evidente sul bilancio della banca, colpita come tutto il comparto dalla crisi, sarebbe imputabile in primo luogo alla congiuntura economica: l'ultimo tassello del risiko bancario a fine 2007, che porta Mps a consolidarsi come terza banca nazionale passando da 2000 a oltre 3000 filiali, avviene poco prima della catastrofe finanziaria e in questo sarebbe l'origine del problema.