Argentina: 10 anni di default, ripresa e nuovi problemi

BUENOS AIRES, 28 NOV – Quanto accade nell'Unione europea, soprattutto in Grecia, per gli argentini è un deja vu. Sequenza da incubo cominciata nel 2001. Che nessuno ha però dimenticato, nonostante la successiva auge economica. Anche perché, ora incombono riflessi negativi della crisi mondiale.

Pur se indizi della imminente tragedia sociale scaturivano giorno dopo giorno, essa scatta in dicembre. Con il 'corralito', il blocco dei depositi bancari. Escogitato dal governo del presidente Fernando de La Rua per pagare il debito estero, dopo la chiusura del rubinetto del crediti internazionali, perche' non aveva accettato il default pilotato consigliato dagli Usa.

Imbufaliti, emarginati e classe media, uniti come non mai, invadono le piazze picchiando sulle casseruole. E al grido 'que se vayan todos'. Tutti i politici a casa. Scatta la repressione contro gli 'indignados' ante-litteram: almeno 35 morti. De La Rua s'invola anzitempo dalla Casa Rosada in elicottero. Gli succedono quattro capi di Stato peronisti in un pugno di giorni.

Uno dichiara il default, in un esultante Parlamento. L'ultimo svaluta del 33% il peso, il cui valore, fino ad allora, era pari al dollaro. E dichiara carta straccia i contratti: anche quelli delle multinazionali con in mano le imprese statali, comprate con bond al valore di facciata, pur se acquisiti a quello ben piu' basso di mercato. Per gli argentini è l'inferno. A parte, naturalmente, per chi sa trarre tornaconto anche dal caos. La risalita della china è ardua. Per almeno due anni, non esistendo il credito, si tira avanti con contratti sulla parola.

Poi, inaspettata, la manna. Ancora i cereali: soprattutto la soia, venduta alla Cina. Il cui export, anno dopo anno, riempie le casse statali. E consente, dal 2003, al presidente peronista Nestor Kirchner di intravvedere la luce in fondo al tunnel.

Innanzitutto, e con il determinante appoggio degli Usa, pone fine al default, rimborsando appena il 30% del valore dei bond. Ma, inaspettatamente, anche con una storica svolta. Si lascia le spalle il liberismo del Consenso di Washington, ed imbocca il malvisto cammino di un ritorno allo Stato distribuzionista, insomma Keynes. Che pero' puo' mettere in atto grazie ad un Pil che cresce per sei-sette anni consecutivi all'8/9% annuale.

Trend che, un mese fa, consente alla vedova Kirchner, Cristina Fernandez, succedutagli nel 2007, di rinnovare per altri quattro anni il mandato con uno storico 55% dei voti. E che, l'altro ieri, parlando alla Confindustria, ha avvertito: ''Il nostro e' un modello di crescita e non quello delle mete di inflazione, quello del Consenso di Washington, che ha distrutto il Paese''. Liberisti locali ed esteri affermano il contrario. E spiegano che l'Argentina, per l'alta inflazione e l'auge dello statalismo ''autoritario'', come da Dna peronista, prima o poi, finira' per subire la crisi mondiale. Insomma niente piu' 'vacche grasse'.

Per contro, due Premi Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz e Paul Krugman, dicono che la Grecia (default e uscita dall'euro come accadde con la parita' peso-dollaro) dovrebbe emulare l'Argentina.

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