L’asfissia fu una delle cause di morte a Pompei durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Lo dimostra lo studio interdisciplinare condotto dall’Università di Valencia e dall’Università di Cambridge con la collaborazione del parco archeologico di Pompei e pubblicato sulla rivista Plos One.
Asfissia, così si moriva a Pompei
La ricerca è stata condotto sui resti scheletrici all’interno dei calchi pompeiani su cui è stata impiegata per la prima volta un’analisi chimica non invasiva mediante fluorescenza a raggi X.
Oggetto della ricerca sono stati sei calchi di fuggitivi da Porta Nola e un settimo dalle Terme Suburbane. “Sono stati determinati dati importanti – osservanoi ricercatori – che, incrociati con risultati antropologici e stratigrafici, sono utili nella ricostruzione degli eventi pre e post-mortem degli individui”.
I risultati delle analisi sono stati confrontati con quelli condotti su altre ossa rinvenute nelle necropoli di Porta Nola a Pompei, nel Sepolcreto Ostiense a Roma e a Valencia.
I risultati delle analisi bioarcheologiche
“I calchi in gesso delle vittime dell’eruzione di Pompei potrebbero aver contaminato la composizione chimica delle loro ossa, ma le analisi bioarcheologiche consentono comunque di considerare l’asfissia come probabile causa di morte”, dicono i ricercatori.
Specificando che i dati si riferiscono ai campioni presi in esame e che “è “probabile che l’eruzione catastrofica abbia ucciso le persone in modi diversi”.
Per Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei, “è difficile determinare con esattezza la causa di morte delle vittime dell’eruzione.
Tra calore, asfissia ed edifici crollanti, sappiamo che doveva essere un vero e proprio inferno. D’altronde, se mettiamo le stime del numero di vittime in relazione alla popolazione totale, che solo all’interno delle mura doveva ammontare a circa 20mila persone, con forse altrettanti che abitavano nelle campagne, possiamo ipotizzare che molti abitanti fossero riusciti a scappare.
Il nuovo studio – osserva – è importante perché ci aiuta a comprendere meglio la dinamica precisa nell’ultima fase della catastrofe”.