Banca d’Italia. I primi dieci soci: Intesa, Unicredit, Generali, Inps…

Banca d'Italia. I primi dieci soci: Intesa, Unicredit, Generali, Inps...
Banca d’Italia. I primi dieci soci: Intesa, Unicredit, Generali, Inps…

ROMA – Banca d’Italia. I primi dieci soci: Intesa, Unicredit, Generali, Inps… La rivoluzione della Banca d’Italia procede. Via Nazionale ha portato a termine lo studio commissionato dal ministero dell’Economia sulla rivalutazione delle quote in mano a banche, assicurazioni e istituti previdenziali, valutandole tra i 5 e i 7,5 miliardi. Un atto quasi dovuto – visto che il valore rimane ancora oggi quello del 1936, pari a 156.000 euro -, richiesto dalle banche, desiderose di rafforzare il proprio patrimonio (dai 360 a 420 milioni di euro l’anno in dividendi) alla luce dei nuovi vincoli patrimoniali imposti da Basilea 3 senza dover ricorrere eccessivamente al mercato, e ben visto anche dal Tesoro, che da una simile rivalutazione potrebbe incassare tra 1 e 1,5 miliardi di nuove tasse. Non a caso, è stata prima di tutto l’Abi a chiedere che la rivalutazione fosse inserita nella legge di stabilità.

I primi dieci soci. Guida la speciale classifica Intesa Sanpaolo con il 30,34%. Unicredit è al 20,11%. Assicurazioni Generali 6,33%. Cassa di Risparmio di Bologna 6,20%. Inps 5%. Carige 3,95%. Bnl 2,83%. Montepaschi di Siena 2,50%. Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli 2,10%. Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza 2,03%.

 

L’operazione, lunga e complessa, resta al momento ancora allo studio attento dei tecnici del Tesoro, ma l’iter sembra ormai partito. Molto del mondo politico vorrebbe imprimerle un’accelerazione per utilizzare gli introiti fiscali come copertura della seconda rata Imu, ma difficilmente i tempi tecnici di attuazione della misura (che deve essere vagliata anche dalla Bce e deve trovare un ‘veicolo’ legislativo appropriato) potranno permettere di ottenere un incasso da mettere a bilancio già nel 2013, a sostituzione della tassa sulla casa.

Come spiegano gli esperti che hanno calcolato la cifra, (Franco Gallo, ex presidente della Corte costituzionale, Lucas Papademos, ex vicepresidente della Bce, e ad Andrea Sironi, rettore della Bocconi), l’assetto azionario della Banca d’Italia va rivisto prima di tutto perché i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale del capitale detenuta dai più grandi gruppi bancari. Va inoltre evitato il concretizzarsi della legge 262 del 2005 (terzo governo Berlusconi, Giulio Tremonti ministro dell’Economia) che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà dell’istituto centrale.

La legge non è stata in realtà mai attuata in assenza dell’apposito regolamento attuativo, ma gli esperti giudicano comunque essenziale mantenere l’indipendenza di Via Nazionale dalle pressioni politiche. “Le nostre analisi – scrivono – mostrano che nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della banca venisse aumentato a 6-7 miliardi di euro e considerando un tasso di dividendo del 6% (360 o 420 milioni di termini assoluti), il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe all’interno dell’intervallo 5-7,5 miliardi”.

La riforma non modificherebbe i diritti economici dei partecipanti, garantendo un flusso futuro di dividendi il cui valore attuale nette è pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca. La riorganizzazione di Via Nazionale è uno dei temi che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non a caso un ex di Bankitalia, ha in mente da tempo. L’obiettivo sarebbe quello di estendere la platea dei partecipanti al capitale in modo di rendere la banca centrale una vera ‘public company’ ad azionariato più diffuso rispetto all’assetto attuale, divenuto più concentrato a seguito delle fusioni e acquisizioni.

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