Banche, il “bail in” sui conti correnti: in 4 anni 16% in più da pagare. E non è finita

Banche, il "bail in" sui conti correnti: in 4 anni 16% in più da pagare. E non è finita
Banche, il “bail in” sui conti correnti: in 4 anni 16% in più da pagare. E non è finita

ROMA – Banche, c’è un “bail in” che non si vede eppur si paga. Bail in formula che significa che quando una banca va in malora non paga solo lo Stato il suo salvataggio. Bail in che viene raccontato come il demonio in terra ma che in origine natura tanto malefica e diabolica non ha, anzi. Bail in sta per non si può (più) fare che banche prestano a chi gli pare, contraggono debiti come gli pare, dilapidano soldi come gli pare quindi stanno per chiudere e fallire e arriva lo Stato, cioè i contribuenti e pagano il conto. E tutto continua come prima e quelli della banca e nella banca non ci rimettono un euro.

Bail in sta per se la banca sta per saltare perché male amministrata o peggio, allora qualcosa ci rimettono anche quelli della banca e che con la banca stavano. Dopo che questi hanno pagato, ci hanno rimesso qualcosa del loro, allora e solo allora arrivano i soldi pubblici per impedire che la banca chiuda. Bail in in fondo è un principio di responsabilità: se la banca è mal governata o peggio qualcosa devono rimetterci gli azionisti che hanno rischiato (rischiato questa è la natura dell’investimento azionario) comprando i titoli della banca. E qualcosa devono rimetterci gli obbligazionisti, quelli che hanno investito (e anche qui la componente di rischio non può essere cancellata) in obbligazioni magari remunerate appunto a tasso di rischio.

Bail in dice anche una cosa meno lineare, e cioè che qualcosa debbano pagare anche i correntisti della banca in crisi e da salvare. Se correntisti con conti correnti sopra i centomila euro. Meno lineare perché un conto corrente anche con centomila è passa euro non è capitale di rischio, quindi far pagare in questo caso è solo punizione e non conseguenza investimento sbagliato.

Come che sia, bail in è chiamata in causa della responsabilità individuale e del rischio di investimento. Improponibile in un paese che da sempre, praticamente dalla sua fondazione, salva le banche che stanno fallendo facendo pagare tutto al contribuente e nulla a chi le banche aveva mal gestito e a chi nelle banche aveva investito e magari guadagnato. In Italia le banche si salvano con i soldi pubblici, punto.

Anche in altri paesi, quasi tutti i paesi, le banche che stanno per saltare vengono tenute in piedi con i soldi pubblici. Lo fanno i governo di destra, di sinistra e di qualunque tipo. Per l’ottima ragione che se una banca chiude e si dichiara insolvente, allora l’insolvenza si propaga come fiamma in bosco secco. E’ cosa profondamente di pubblica utilità e sicurezza salvare le banche. Ma a molta pubblica opinione italiana piace pensare lo si faccia per salvare i banchieri. A questa pubblica opinione e ai suoi rappresentanti e megafoni andrebbe fatto assaggiare (magari solo a loro) l’effetto reale del non salvare le banche: i bancomat chiusi, il conto corrente bloccato, i soldi in banca che non li puoi prendere più perché forse non ci sono più…

Ecco perché tutti gli Stati e tutti i governi sul pianeta salvano le banche con i soldi pubblici. Ma, si era detto con il bail in, non solo e soltanto con i soldi pubblici. Anche i privati ci rimettano qualcosa. Da noi i privati sono rapidamente diventati i “risparmiatori traditi e ingannati” e quindi il bail in la peste da non applicare mai.

Niente bail in dunque e mai bail in in Italia, dio ne scampi. Però in Italia un bel po’ di banche (soprattutto quelle “di territorio” tanto care sia alla politica che alla società civile, anch’esse “di territorio” ovviamente) hanno fatto carne di porco per anni. Quindi non stanno in piedi, dovrebbero fallire, chiudere. Devono però essere salvate per le suddette ragioni. Salvate con i soldi di chi? In buona, buonissima parte, fino e oltre i limiti e modalità consentite dai trattati europei, con i soldi pubblici, dello Stato, dei contribuenti. Un esempio? Per le due banche venete finora ipotizzato costo 10 miliardi di salvataggio, circa 1,6 milioni a dipendente!

Ma non solo soldi pubblici, tutto il sistema bancario contribuisce con vari strumenti. C’è un Fondo e ci sono singoli interventi e ci sono interventi di gruppo e di sistema. Insomma le banche che stanno in piedi pagano obolo, sborsano una quota dei soldi che servono a non far chiudere le banche rapinate e fallite (rapinate da dirigenti e clienti più o meno eccellenti).

E come si rifanno, “rientrano” le banche di questo costo, sovra costo crescente? Applicando un “bail in” molto indiretto ma sempre “bail in”. Indiscriminato e polverizzato bail in perché non si veda anche se c’è e si paga. Si tratta dell’aumento dei costi alla clientela per la tenuta e gestione di un conto corrente. In quattro anni l’aumento è stato del 16 per cento, passando in media il costo annuo di un conto corrente da 115 a 134 euro. La velocità degli aumenti è cresciuta, guarda caso, negli ultimi mesi, i mesi di Mps e banche venete. E non è finita: Corriere della Sera annuncia che la velocità degli aumenti crescerà ancora e tutte le banche faranno gruppo dietro quelle che sono già scattate.

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