ROMA – Banche italiane, le 114 a rischio per le sofferenze. Per la Bce, i crediti deteriorati sono “l’onere principale gravante sul sistema bancario europeo post-crisi”. Il problema interessa soprattutto alcuni Paesi, seppur con pesi diversi: Italia, Francia, Spagna, Grecia, Cipro e Portogallo. Il caso italiano è particolarmente spinoso visto che su circa 500 banche, un quinto è investito dal rischio generato dalle sofferenze, come vengono chiamate appunto il complesso di crediti deteriorati quando non più esigibili che gravano sui bilanci. Npl, non performing loans, è la loro traduzione inglese.
La dettagliata analisi fornita dal centro studi di Mediobanca e pubblicata dal Sole 24 Ore che fotografa la situazione a fine 2015 ci dice che sono 114 le banche italiane in situazione di rischio: in questi istituti, il valore dei Npl, dei crediti deteriorati, supera quello del patrimonio tangibile della banca. Si chiama Texas ratio l’indice che segnala il pericolo: quando supera il 100% scatta l’allarme della vigilanza preposta. Sopra il 100% ci sono appunto 114 banche, per lo più Bcc (credito cooperativo) e casse rurali. In quei dati di bilancio 2015 spiccano le 24 banche con Texas ratio superiore al 200%: la più inguaiata risulta essere la Bcc di Teramo, seguita dalla Cassa di Risparmio di Cesena, da Unipol Banca, Banca Atesina di Credito Cooperativo…
Quando si supera il 100%, la banca scricchiola e occorre intervenire pena grossi guai. O si aumenta il capitale o ci si fa comprare da una banca più sana, o in alternativa, si cerca di vendere quella montagna di Npl, sapendo che la loro cessione libererà il bilancio a spese però di nuove maxi-perdite. Infine si può chiedere qualche forma di aiuto esterno che nel caso delle Bcc significa fare appello al Fondo consortile di garanzia e nel caso delle Spa la stampella pubblica come capitato a Mps e alle due ex popolari venete che figurano appunto tra le prime nell’elenco delle 114 banche a rischio default, dato il peso insostenibile dei crediti non rimborsati. Del resto quel lungo elenco mostrava già a fine 2015 situazioni che rischiavano di implodere e comunque situazioni in cui qualche intervento in extremis andava necessariamente adottato. (Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore)