Perché le banche non prestano soldi? Hanno paura: “Insolvenza record verso 15%”

di Daniela Lauria
Pubblicato il 4 Ottobre 2012 - 11:45| Aggiornato il 14 Ottobre 2012 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Perché le banche italiane non prestano soldi a imprese e famiglie? La verità nuda e cruda è che gli italiani sono sempre più insolventi:  il peso dei crediti irrecuperabili è destinato a salire al 15% entro fine anno. Livelli così alti non si erano mai visti: storicamente la media dei crediti traballanti si attestava tra il 4% e il 5%, ora è salita del 140% e per questo le banche hanno sempre più paura. A fornire la risposta è Federico Fubini sul Corriere della Sera, che in un lungo articolo spiega cosa stia accadendo tra istituti di credito e imprese, nonostante i primi abbiano a maggioranza superato i test di solidità dell’Eba, l’autorità bancaria europea che aveva chiesto alle banche italiane costose e polemiche ricapitalizzazioni.  E nonostante, lo scorso inverno, abbiano avuto accesso illimitato ai prestiti della Bce, ricevendo ben 270 miliardi di fondi da Francoforte. Scrive Fubini:

I primi cinque grandi gruppi hanno aumentato la loro base di capitale per 20 miliardi e il valore dei titoli di Stato in cui hanno investito in certi momenti è salito molto. Eppure il credito all’economia viaggia sotto zero, qualcosa di mai visto nella storia della Repubblica. Una laureata che vuole fondare una micro impresa o una coppia che cerca un mutuo il più delle volte si imbattono nella stessa risposta: no, se non a caro prezzo. Detto in modo più forbito nell’ultimo rapporto dell’Fmi sull’Italia: «Costi di finanziamento più alti e criteri di credito più restrittivi, specie per le piccole imprese, hanno alzato i tassi sui prestiti»; il risultato è «una contrazione del credito ai privati del 2,75% nel periodo 2012-2013». Morgan Stanley lo definisce «un credit crunch al rallentatore».

E se le banche tendono a rispondere che semplicemente sono le persone e le imprese a chiedere meno denaro in prestito, la realtà, spiega Fubini, è scritta tra le pieghe dei dati forniti dalla Banca d’Italia, dai quali si evince come il mondo del credito italiano porti dentro di sé “le cicatrici di due profonde recessioni in cinque anni, cerca di non mostrarle, eppure i danni accumulati fin qui ne paralizzano l’attività e con quella l’intera economia. Anche liberalizzare diventa inutile, se nessuno trova soldi per lanciare la sua nuova impresa in un mercato aperto”.

I finanziamenti «deteriorati» — i prestiti non restituiti, le rate di mutuo in ritardo, gli scoperti scaduti — sono saliti in Italia del 140%: da 87 a 207 miliardi di euro in quattro anni (vedi grafico sopra, tabella in alto). La massa di credito in situazione traballante rappresentava il 5% del portafoglio totale dei prestiti delle banche all’inizio della grande crisi. Adesso sta rapidamente salendo ben oltre il 12%. Con l’inesorabile resa alla recessione delle imprese indebitate — e presto con lo scadere delle moratorie che permettono alle banche di nascondere nuove perdite — il peso dei crediti irrecuperabili è destinato a salire verso 15% entro la fine dell’anno prossimo. Sono livelli elevati, sia per la storia d’Italia che nel confronto internazionale.

Se fin dall’epoca di Lehman Brothers le banche italiane hanno sempre assicurato di avere bilanci solidi perché non hanno mai investito in titoli tossici, non tengono in considerazione che molti dei loro prestiti tradizionali, a imprese e famiglie, stanno diventando tossici. Ora sotto i colpi della recessione le banche italiane sono a un bivio. Scrive Fubini che “fino a quando le banche non riconosceranno e liquideranno i prestiti andati a male, diventerà impossibile per loro liberare risorse perché il credito riparta davvero”. Le stesse raccomandazioni sono giunte dai tecnici del Fmi nell’ultimo rapporto sull’Italia, a giugno. L’alternativa è chiudere i rubinetti all’economia e andare incontro a una lunga fase di stagnazione.