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Salvare le banche, chi paga? “Gli azionisti”, dice Dijsselbloem, capo Eurogruppo

di Warsamé Dini Casali |24 Settembre 2022 20:02

ROMA – Se una banca deve essere risanata, a chi spetta l’onere: ai vari investitori, azionisti, sottoscrittori di obbligazioni o, piuttosto, ai cittadini contribuenti, tramite la fiscalità generale? Secondo il nuovo presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, il risanamento delle banche tocca agli azionisti, ai detentori di titoli: il contrario di quello che è successo, per citare un caso italiano, per Monte Paschi di Siena (3,9 mld in aiuti di Stato per consentire la ricapitalizzazione)

Il convincimento del ministro delle Finanze olandese (da pochi mesi) che da gennaio ha preso il posto del lussemburghese Jean Claude Juncker non è passato inosservato: il New York Times ha preso spunto da qui per spiegare un po’ chi è Dijssselbloem (socialdemocratico, 46 anni, a 20 fiero oppositore del nucleare) e allo stesso tempo verificare sul campo cosa succede quando la sua linea su come salvare le banche viene applicata.

Per farlo, il corrispondente del NYT Landon Thomas, ha intervistato un ingegnere del suono greco, George Zannakis. Cosa c’entra Mr Zannakis? Quando a gennaio sottoscrisse bond ad alto rendimento (6% annuale) della banca olandese SNS Reaal, consigliato da un adviser della filiale HSBC in Atene, non avrebbe mai sospettato che i suoi 50 mila euro investiti sarebbero ben presto andati in fumo. “Non siamo mica in Grecia”, aveva pensato.

E, infatti, due settimane dopo, il 1° febbraio, diversamente dalle banche greche (il default pilotato è stato caricato in larga parte sulle spalle dei contribuenti europei), il ministro olandese delle Finanze decretò, a seguito del collasso della banca sotto il peso dei prestiti immobiliari inesigibili, che i bond-holders come Mr Zannakis sarebbero finiti sul lastrico.

Improvvisamente, sottolinea il NYT, per la prima volta nella saga quinquennale della crisi finanziaria globale, “le regole sembravano essere cambiate con, potenzialmente, imprevedibili implicazioni per le banche europee e  loro investitori”. Insomma, si può lecitamente supporre, con la nomina del diplomatico ma rigorista del nord a pieno titolo Dijssselbloem alla guida del gruppo dei 17 ministri delle Finanze europeo, che azionisti e sottoscrittori di banche in bilico debbano stare sul chi va là?

“C’è un nuovo sceriffo fiscale nell’Eurozona” avverte Thomas, anche perché con una lista sempre aggiornabile di banche da salvare, la sua rischia di diventare la figura più influente nell’Eurozona. Tra le banche da salvare, diciamo oscillanti, Thomas, detto per inciso, cita quelle del momento, le italiane e le cipriote.

D’altra parte, tra il bail-out (il salvataggio) delle banche a carico dei contribuenti (il male) e il crollo del sistema (il peggio), il bail-in, cioè la ricapitalizzazione forzata da parte degli investitori, viene considerata, almeno a livello teorico, la terza opzione, quella più corretta e “istruttiva”, più efficace perché sana invece di estendere il contagio e aumentare le perdite.

Una simulazione su Lehmann Brothers suggerisce che in caso di bail-in la banca avrebbe regolarmente riaperto gli sportelli il lunedì, gli investitori, rimettendoci, avrebbero contenuto le perdite agli effettivi 25 miliardi di dollari di esposizione contro il peso di una bancarotta da 150 miliardi di dollari.

Anche Dijssselbloem potrebbe convenire, come i sostenitori della terza opzione, che nel week end nero del tentativo di salvataggio Lehmann, una specie di operazione a cuore aperto, un paio di giorni per organizzare il bail-in non sarebbero stati sufficienti nemmeno per darne l’annuncio. In ogni caso, il neo capo dell’Eurogruppo questa strada l’ha percorsa, Mr Zannakis se lo ricorda bene. E’ possibile che sulla crescita i paesi del nord concedano qualcosa, ma sulle politiche di bilancio, in attesa della integrazione fiscale, della vigilanza unica bancaria, l’attenzione sarà se possibile ancora più rigorosa.

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