Banche salvate con soldi pubblici, Senato salva portafoglio gonfio manager

ROMA – Banche salvate, salvate soprattutto con i soldi pubblici (un po’ anche con i soldi delle altre banche e un pochissimo con i soldi degli azionisti, ancor meno di pochissimo con i soldi degli obbligazionisti). E’ stato ed è più che giusto salvare quelle banche, impedire che chiudessero. Più che giusto, vitale. Più che una scelta economica-politica salvare le banche qui e oggi è un obbligo di sopravvivenza sociale, una questione di ordine pubblico e pace sociale.

Non c’è governo sul pianeta, di destra, sinistra o quel che sia, democratico o autoritario, amato o odiato dal suo popolo che non abbia fatto altrettanto, che non abbia salvato le sue banche con i soldi pubblici. Quelli (e sono tanti) che senza misura strepitano contro le banche salvate e quelli che danno loro voce in politica e sui mezzi di comunicazione meriterebbero di provare cosa succede quando si lasciano fallire le banche. Meriterebbero di sperimentare quando la loro tessera bancomat dovesse dire: prelievo massimo giornaliero 50 euro. E nessun altro accesso al proprio conto in banca perché, fallita e chiusa una banca come da loro desiderio, nelle banche tutte tutto il denaro non c’è e c’è invece la corsa a portarlo via.

Il sistema del credito è fondamento e condizione dell’investimento produttivo, dello scambio di merci, del salario, della pensione…E c’è chi va in giro a dire che nell’interesse dei più deboli economicamente le banche andrebbero lasciate morire. Si dovrebbe far loro assaggiare la loro ricetta e morirne avvelenati, peccato che farebbero ingerire veleno a tutti.

Tutti i governi hanno salvato le banche con soldi pubblici, lo hanno fatto gli Usa (Tarp), lo ha appena fatto l’Italia con il relativo decreto. Però, però…l’Amministrazione Bush e poi quella Obama stabilirono che se andavano soldi pubblici alle banche che rischiavano di fallire, allora i manager delle banche a rischio fallimento dovevano dimenticarsi bonus, buonuscite, maxi ingaggi, paracadute d’oro e via portafoglio gonfiando. Elementare, ovvio: lo Stato ti viene a salvare con i soldi pubblici e quindi ti che dirigi o gestisci la banca salvata non puoi più fare come e quanto ti pare con le tue retribuzioni. Perché sono soldi pubblici e perché sei corresponsabile dello stato di crisi della banca.

Gli Usa hanno fatto così. L’Italia no, incredibilmente no. La storia inquietante e pure scandalosa la racconta Federico Fubini sul Corriere della Sera. “Tre emendamenti presentati da ex montiani hanno cercato…Uno prevedeva l’obbligo di legare la parte variabile del compenso dei manager ai risultati aziendali e vietava di liquidare i bonus prima che lo Stato fosse rientrato dell’investimento fatto per salvare la banca”. Ovvio, elementare, giusto, doveroso: premio in denaro solo se la banca va bene e se va bene pagati per primi i cittadini (Stato) che ci hanno messo i soldi pubblici.

Il secondo emendamento prevedeva che se c’erano accordi soldi ai manager prima dell’intervento dei soldi pubblici questi accordi non valevano più. Insomma se il manager si era garantito buonuscite milionarie o “paracadute d’oro” nella banca che stava fallendo, questa cambiale lo Stato non era tenuta a pagarla. Logico, giusto, ovvio.

Il terzo emendamento diceva che lo Stato diventato azionista poteva promuovere da solo “azioni di responsabilità” contro i responsabili del dissesto, insomma lo Stato poteva da solo fare causa. (Ora ci vuole quorum azionisti e per le banche “di territorio” non è facile trovare chi va contro chi ha sperperato ma ha fatto anche arrivare nelle tasche…di prossimità).

Tre emendamenti di giustizia e anche funzionalità e anche decenza. In parte ricalcati sul Tarp americano, sul salva banche in Usa. Parere favorevole della Camera. Sostegno del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. Astensione, chissà perché, di M5S. Forse per quel riflesso di timidezza che sempre fa da crampo alla volontà di lotta di M5S quando i “poteri forti” si può colpirli nel concreto, o forse più probabilmente per un riflesso di smarrimento che colpisce i “portavoce” del MoVimento in Parlamento quando si tratta di questione che comportano un minimo, minimo assai, di competenza. Insomma un: e chi lo sa, meglio astenersi.

Come è, come non è i tre emendamenti arrivano al Senato e lì il Senato li boccia. Si oppone il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta (ex dirigente Cisl nota Fubini come a suggerire buon sangue corporativo non mente). Baretta si oppone e il Senato cancella gli emendamenti. Quindi i manager delle banche salvate con i soldi pubblici si tengono se ce l’hanno i portafogli gonfi di bonus, super bonus, ingaggi, paracadute personali, buonuscite e tutto come se i soldi non fossero pubblici. Quindi i manager delle banche praticamente fallite durante la loro gestione possono continuare a intascare premi in denaro oltre i loro stipendi. Quindi in termini di soldoni non esiste responsabilità manageriale nel dissesto.

Perché il Senato ha votato questa imbarazzante, anzi mortificante sanatoria per i manager e le loro retribuzioni? Perché ha stabilito un principio di irresponsabilità che grida vendetta? Perché ha salvato quel che andava cancellato? Si sono distratti, non sapevano quel che facevano, sono stati convinti dalla lobby dei manager? Più probabilmente lo hanno fatto per un riflesso d’ordine. Di fronte al possibile affermarsi dell’eversivo principio secondo cui le retribuzioni vanno legate ai risultati aziendali professionali, i senatori hanno compreso che questo avrebbe scardinato sicurezza e tranquillità di istituzioni e professioni.

Retribuzioni legate alla responsabilità e ai risultati? Questo avrebbe turbato e scosso le Camere dei parlamentari, le Magistrature alte e basse, le Camere di Commercio e le Confindustrie, gli Ordini e sindacati professionali, la Pubblica Amministrazione, il Corpo Docente dagli asili alle Università, la finanza e l’impresa. E perfino le televisioni e le comunicazioni ne sarebbero state agitate. Stabilire niente meno che si è responsabili in solido e nella propria retribuzione dei risultati dell’azienda e che non si deve essere pagati “a prescindere” dai risultati del proprio lavoro hanno pensato i senatori fosse roba da offendere e scardinare l’Italia. Ecco cosa deve essere successo nella loro testa. E non scherziamo, non c’è ironia quando pensiamo sia andata così.

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