Banche venete, ora a clienti e obbligazionisti succede che…

Banche venete: ora che succede a clienti e obbligazionisti?
Banche venete: ora che succede a clienti e obbligazionisti?

ROMA – Banche venete, ora a clienti e obbligazionisti succede che… Succede che se davvero Banca Intesa rileva la parte sana di Veneto Banca e Pop Vicenza i clienti dei due istituti restano come prima, con i loro prestiti e debiti. E altrettanto accade ai correntisti, il loro conto corrente resta al sicuro. Anzi, prima era al sicuro nei limiti teorici dei 100 mila euro di deposito, ora diventa di fatto un po’ più sicuro vista la maggior “copertura” sotto il segno di Intesa.

A gli azionisti delle banche venete di fatto fallite, prosciugate, dissanguate? Intesa non li salva, neanche un po’. Quel che del loro capitale avevano perso finora continueranno ad averlo perso perché Intesa non si fa certo carico di investimenti sbagliati o comunque non andati a buon fine. Chi a suo tempo ha comprato azioni che ora non valgono nulla con nulla si ritroverà in mano, accade e sarebbe accaduto comunque qualunque sia il destino delle due banche.

E gli obbligazionisti? Più o meno stessa sorte di quelli di Banca Etruria e sorelle, in Italia, con il sì di malavoglia dell’Europa, si rimborsano gli obbligazionisti per così dire “familiari”. Cioè chi ha comprato obbligazioni ad alto rischio, se dimostra (dichiara?) di essere stato non consapevole o non informato del rischio viene rimborsato in parte o in toto della perdita. Se invece è “investitore istituzionale”, cioè non singolo ma ad esempio Fondo, allora subisce il “bail in” sulle sue obbligazioni.

I primi commenti degli analisti giudicano favorevole per Intesa Sanpaolo l’offerta sulle good bank di Popolare Vicenza e Veneto Banca ma sottolineano come la situazione resti ancora incerta e sull’intero impianto dell’operazione penda il rischio di uno stop dell’Ue al governo italiano, che dovrebbe farsi carico del costo miliardario della bad bank.

Il Tesoro continua a lavorare a una ricapitalizzazione precauzionale, cercando gli 1,2 miliardi di capitali privati chiesti dalla Ue. Ma quella che sembra materializzarsi è un’altra soluzione, sempre con iniezione di risorse dei contribuenti e in ogni caso preservando depositi e bond senior dal ‘burden sharing’ (cioè la condivisione degli oneri). Allo studio c’è infatti una replica della soluzione adottata per le quattro good bank mandate in risoluzione nel novembre 2015, con la separazione dei crediti deteriorati, la sterilizzazione dei rischi legali, la vendita di alcuni asset e importanti esuberi (si parla di 4 mila su 11 mila dipendenti), per i quali lo Stato si farebbe carico di un rifinanziare il fondo esuberi di settore.

Liquidazione coatta: non cambia nulla per clienti e correntisti. Escludendo la soluzione drastica del bail-in (il salvataggio interno che coinvolge anche correntisti oltre i 100mila euro, azionisti e obbligazionisti) la procedura di liquidazione coatta delle due banche appare la strada preferita. Crediti deteriorati alla bad bank, le banche a Intesa: per il cliente che ha ricevuto un prestito non cambia nulla, così come per i correntisti.

Lo schema di massima prevede che le perdite derivanti dalla cessione degli Npl alla bad bank vengano colmate azzerando gli azionisti e coinvolgendo i possessori di bond subordinati (ma non quelli di titoli senior). È possibile che in questo ambito, siano coinvolti anche i piccoli investitori titolari dei titoli junior: tuttavia, è probabile, stando a quanto filtra dal Tesoro, che per questa tipologia di investitori che abbiano subito una vendita fraudolenta (“misselling”) scatti una forma di rimborso sul modello Mps. (Luca Davi, Il Sole 24 Ore)

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