ROMA – La crisi ha distrutto tutti i comparti dell’industria italiana: è l’allarme lanciato dalla Banca d’Italia. “La perdita di produzione ha assunto dimensioni preoccupanti ” e ”in tutti i comparti industriali i livelli produttivi sono inferiori a quelli precedenti la crisi ”.
Il quadro descritto da otto economisti dell’istituto nazionale è plumbeo, ma l’approccio non è pessimista: ”Vi sono buone ragioni per dubitare che il destino dell’industria italiana sia segnato. Il suo declino non è irreversibile, purché le imprese sappiano trasformarsi ”.
Bankitalia indica carenze ma anche possibili aree di intervento: per ridare competitività la priorità non è il costo del lavoro, ma l’alto prelievo fiscale e il costo dell’energia. “I prezzi sostenuti dalle aziende italiane per gli acquisti di energia elettrica, che costituiscono oltre la metà delle spese energetiche delle imprese industriali, sono superiori di circa il 30% rispetto alle loro concorrenti europee”.
La crisi è stata durissima. La più intensa dalla fine della seconda Guerra Mondiale: dal 2007 il Prodotto interno lordo è sceso di 7 punti. A preoccupare gli esperti di Bankitalia è la perdita della produzione, anche nel confronto con i vicini francesi e tedeschi. Dall’aprile 2008 a dicembre 2012 la flessione è stata del 52,2% nel comparto degli elettrodomestici (a fronte di un calo del 9,8% francese e del 19,1% tedesco) e del 51% per gli autoveicoli (contro la contrazione francese del 41,8% francese e l’aumento tedesco dell’1,5%). Per l’industria del legno, compreso il settore dei mobili, il crollo è stato del 45%.
L’impatto della crisi è poi stato fortissimo su alcune roccaforti del Made in Italy come il tessile e le calzature: la flessione è stata rispettivamente 30,7% e e del 39,1%. Ma è una tendenza di lungo periodo: dalla seconda metà degli anni ’90 i livelli produttivi si sono ridotti del 50 e del 70%. Per l’auto, invece, il calo da allora è del 60%.
Per Bankitalia ad impedire la produttività è soprattutto la pressione fiscale che in Italia è superiore di 2,5 punti percentuali ai Paesi dell’area dell’euro. Considerando anche l’Irap, l’aliquota legale sui redditi delle società, è più alta di 5 punti. Lo stesso vale per il ”cuneo fiscale”, vero nodo del costo del lavoro.
Dal rapporto risulta che la retribuzione netta di un lavoratore medio celibe era nel 2011 in Italia ”inferiore del 15% rispetto al Belgio e alla Francia, di circa il 20% rispetto all’Austria e di poco più del 30% rispetto alla Germania”.
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