ROMA – La decisione della Banca Centrale europea e il pressing asfissiante di Francia e Germania alla fine sembrano aver dato il risultato più atteso: l’acquisto dei titoli di stato italiani e l’intimazione ad anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, hanno fatto scendere gli interessi sui Btp, lo spread si è allontanato da quota 400 punti base con i bund tedeschi (in mattinata era sotto i 300), l’aggressione speculativa appare ridimensionata. Berlusconi sta difendendo con le unghie e con i denti il fortino del governo, ma non può far nulla, a parte mostrarsi indignato con i suoi, per tacitare chi parla di un esecutivo di fatto commissariato. Le bordate celate nel dotto editoriale di Mario Monti sul Corriere della Sera di domenica hanno lasciato il segno. Il “podestà forestiero” ci sta tirando fuori dai guai è vero, ma ha dettato le sue condizioni, umiliando la dignità politica di un governo che solo formalmente può dirsi indipendente e autonomo. Insomma saremmo una repubblica a sovranità limitata, perché da soli non siamo riusciti ad emendarci dall’antico vizio di arrangiarci e di rinviare a domani ciò che potremmo fare oggi.
Perché le stesse misure draconiane imposte dall’estero non sono state previste nella manovra di Tremonti? E perché ancora mercoledì scorso, Berlusconi non ne ha fatto cenno alcuno nel suo dimenticabile discorso al Parlamento? E’ vero che quello dell’efficacia dell’azione dei governi al tempo dell’economia globalizzata è il tema cruciale dei nostri giorni. E’ vero, per fare un esempio illuminante, che l’economia del Belgio è condotta senza troppi patemi pur essendo il governo vacante da più di un anno. Ma il deficit politico italiano attuale non può essere che addebitato agli attuali manovratori. Che è possibile disturbare senza conseguenze, perché il timone, quello vero, sta a Francoforte e Bruxelles, o al massimo nelle cancellerie dove si parla tedesco o francese.
Prendiamo la lettera concordata dall’attuale presidente della Bce e del suo sostituto designato: quella di Trichet e Draghi al governo italiano non è una missiva di indirizzo e di invito a far presto. E’ un vero e proprio programma di governo. La lettera non avrebbe dovuto rimanere riservata, ma in fondo è un bene che l’opinione pubblica ne sia stata resa partecipe. Di solito è su quel genere di misure che viene convocata ad esprimere un giudizio durante le elezioni. Non è che il popolo può essere chiamato a esprimersi solo su questioni di coscienza o sulle municipalizzate. Trichet e Draghi offrono la soluzione e il percorso per raggiungerla. Per esempio: giusto accelerare sulle liberalizzazioni, ma rientra nelle competenze dei banchieri chiedere che vengano fatte per decreto? Sulle privatizzazioni viene evocato, non a torto, il fallimentare comportamento della Grecia che per troppo attendere ha dovuto svendere il suo patrimonio: ma è legittimo pretendere la privatizzazione delle società pubbliche locali?
Mancava solo la lista della spesa. E’ chiaro che poi si fomenta l’odio anti-europeista e si rimpingua il già nutritissimo partito che agita lo spettro complottista dei poteri forti. Però, nonostante i giornali di destra mettano il “burocrate” Monti nello stesso calderone anti-governativo addirittura con Prodi e D’Alema, un problema di democrazia reale si impone. Perché se oggi Berlusconi o Tremonti sono costretti a delegare le politiche di bilancio e la guida delle scelte economiche di fondo, perché domani un Bersani o un altro leader della sinistra dovrebbero contare qualcosa di più? Non è solo questione di prestigio, anche se quello, come il coraggio, uno non se lo può dare se non ce l’ha.
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