ROMA – Ci sono tre aspetti fondamentali “della manovra primaverile del Governo di Matteo Renzi che restano da chiarire”, secondo Federico Fubini, su Repubblica:
1. “la natura del bonus“,
2. la natura “dei tagli di spesa”,
3. “la tenuta dei ricavi da circa un miliardo dalla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia”.
C’è anche di più:
“A una seconda occhiata più attenta, alcuni osservatori notano infatti incognite e buchi che minacciano di allargarsi nella rete del decreto. Incerto è per esempio se quella sul bonus da 80 euro sia effettivamente un’operazione di taglio delle tasse, in particolare l’Irpef, o al contrario di aumento della spesa pubblica. Il pacchetto è stato sempre presentato da Renzi come la limatura di un’imposta per certe fasce di reddito, ma la relazione tecnica del provvedimento stesso smentisce in parte il premier che l’ha voluto. Quel testo non esclude, infatti, che «una parte degli sgravi possa essere contabilizzata dal lato della spesa».
“Che significa? Poiché non è possibile ridurre l’aliquota Irpef solo sui dipendenti e non sugli autonomi che guadagnano altrettanto, ai beneficiari della misura sarà dato un bonus. Circa 80 euro in più in busta paga, per ora solo per i sette mesi finali del 2014. In altri termini, questo sembra essere denaro in uscita dall’erario a favore di alcuni contribuenti e non un vero e proprio taglio delle tasse. Se fosse vero, nell’anno della spending review sarebbe dunque passato un provvedimento in senso opposto: più spesa pubblica, non di meno”.
L’analisi di Federico Fubini prosegue senza molto riguardo per la linea smaccatamente pro Renzi della maggior parte dei suoi colleghi, dentro e fuori Repubblica:
“Il governo Renzi si era impegnato a tagli di spesa e li ha proposti: il cuore di questa voce sono 2,1 miliardi di euro di riduzione dei costi di fornitura di beni e servizi alle amministrazioni. Si tratta per esempio di pagare apparecchiature mediche ai migliori costi sul mercato e non tre o quattro volte di più, arricchendo i soliti «imprenditori » legati alla politica e al voto di scambio.
Il problema è che, quanto a questo obiettivo, il Governo non ha trovato finora la forza politica di andare avanti. Tutte le proposte in proposito del ministero dell’Economia sono state defalcate dalla lista dei tagli. La via d’uscita è stata una sorta di delega agli enti locali — comuni, provincie e regioni — perché trovino essi stessi i tagli necessari entro due mesi. In caso contrario, il governo interverrà d’autorità.
Per adesso molte giunte locali hanno risposto che non esistono tagli possibili nei loro bilanci: i governatori e i sindaci non vogliono prendersi le responsabilità di cui il governo per ora si è disfatto, trasferendola sulle loro spalle. Renzi fra due mesi potrebbe dunque imporre lui stesso dei tagli agli enti, ma a quel punto si tratterebbe quasi certamente di una sforbiciata «lineare»”.
Sulla tenuta del bilancio dello Stato va giù duro anche Marco Palombi sul Fatto, che cerca di andare un po’ oltre la
“ostentata [da parte di Matteo Renzi] sicurezza sulle coperture, rigorose tanto che le ha bollinate la Ragioneria generale dello Stato“.
Questo è “vero fino a un certo punto”, avverte Marco Palombi:
“Prima di apporre il suo sigillo al decreto Irpef, infatti, proprio la tecnostruttura della Ragioneria aveva sollevato più di un dubbio sui meccanismi di finanziamento della “quattordicesima” di Renzi: la guerra con Palazzo Chigi è andata avanti per giorni, tanto che una leggenda metropolitana dei palazzi romani vuole che lo stesso premier si sia presentato a via XX Settembre per ricordare ai funzionari che loro lavorano per lui”.
Alcuni tecnici della Ragioneria dello Stato, sostiene Marco Palombi, avevano proposto al ragioniere generale Daniele Franco
“di non “bollinare” il decreto: un atto di guerra a Palazzo Chigi che Franco non si è sentito di avallare. Ne è venuta fuori una relazione tecnica al testo piena di sottolineature di “elementi di criticità” nelle coperture che ha allarmato il Quirinale non tanto per il 2014, quanto per la tenuta del bilancio negli anni a venire.
Tra gli elementi del decreto meno apprezzati al Tesoro c’è di sicuro il capitolo “risorse recuperate all’evasione fiscale”: il governo ha già messo a bilancio 300 milioni quest’anno, certificati dall’Agenzia delle Entrate, e addirittura tre il prossimo (almeno a stare alle tabelle esibite da Renzi in conferenza stampa): peccato, fanno notare, che lo straordinario risultato di questo inizio 2014 sia dovuto alla cosiddetta “rottamazione delle cartelle”, i cui effetti vanno già scemando.
Altro possibile anello debole dei 6,9 miliardi “trovati” da Renzi è quello che riguarda effetto e sostenibilità dei tagli lineari per quasi tre miliardi (2,1 dagli acquisti di beni e servizi di Stato, regioni e comuni, il resto nel cosiddetto capitolo “sobrietà), miliardi che diventano addirittura sette nel 2015: a parte il fatto che la Consulta ha già sentenziato che i tagli lineari sono incostituzionali, non è chiaro se gli acquisti 2014 non siano già chiusi e quale sia l’effetto su bilanci in larga parte già scritti (anche se non ancora presentati).
Infine anche la clausola di salvaguardia che scatterebbe in caso di mancato introito dei 650 milioni messi a bilancio dal pagamento immediato di 9,6 miliardi di debiti commerciali della Pubblica amministrazione: aumento delle accise su tabacco, alcol, carburanti e elettricità. Curiosamente la stessa clausola già posta a guardia della fantasiosa abolizione dell’Imu 2013 da Enrico Letta: la stangata su sigarette e benzina, se entrambe dovessero attivarsi, potrebbe anche far diminuire i consumi al punto da non raggiungere l’obiettivo previsto.
Anche la copertura del taglio Irap del 10 per cento non è giudicata congrua: Renzi quantificò il minor gettito in 2,4 miliardi qualche settimana fa e ha messo a bilancio l’aumento dal 20 al 26 per cento su tutte o quasi le rendite finanziarie per oltre tre miliardi l’anno (gli interessi su depositi, conti correnti, libretti postali e certificati di deposito valgono 755 milioni l’anno): obiettivo difficile da raggiungere per intero secondo i tecnici della Ragioneria.
Quel che preoccupa maggiormente non è l’una tantum del 2014, ma la tenuta strutturale del bilancio dello Stato: per questo il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, ha promesso di presentare il suo piano definitivo non entro la fine dell’anno, ma il prossimo ottobre, in modo da legare i suoi 32 miliardi di tagli entro il 2016 alla discussione sulla prima legge di Stabilità del governo Renzi”.
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