Far lievitare pensioni e stipendio grazie a un bonus: chi può andare in pensione può sfruttare un’interessante opportunità.
Un lavoratore sessantaduenne con 41 anni di contributi può aderire a quota 103. Tuttavia, sono in pochi, quest’anno, quelli che lo hanno fatto. Fondamentalmente, perché uscire con quota 103 appare vantaggioso solamente dal punto di vista anagrafico. Se si considera invece il calcolo della prestazione, la convenienza svanisce quasi del tutto. La nuova versione di anticipo pensionistico, rispetto a quella del 2023, ha deluso i lavoratori. Chi ne aveva diritto ha scoperto un canale di uscita più penalizzante del previsto.
La quota non piace perché bisogna attendere parecchi mesi dal momento del raggiungimento dei requisiti a quello dell’effettiva concessione da parte dell’INPS dell’assegno (finestra mobile). Poi, bisogna mettere in conto di percepire meno soldi del previsto. Per tutto il periodo di anticipo, cioè dai 62 anni ai 67 anni, la pensione non può infatti superare quattro volte il trattamento minimo.
Questo significa che il trattamento non può mai essere superiore a 2.400 euro lordi al mese. Tale vincolo dura fino ai 67 anni, cioè fino a quando, con il nuovo calcolo della pensione, la soglia massima da rispettare non scompare. Le penalizzazioni non si fermano a questo, purtroppo. Dato che la pensione è calcolata con il sistema contributivo, l’assegno è più basso di quanto ci si potrebbe aspettare, anche perché tale calcolo accompagna i beneficiari per sempre e non scade.
La buona notizia è che il Governo, confermando la quota 103, ha reintrodotto anche un bonus per chi decide di posticipare l’ultima dal lavoro. In questo senso chi rifiuta il canale di uscita può comunque avere un vantaggio. Quello relativo a un bonus che può dunque far aumentare sia lo stipendio attuale che le pensioni future.
Pensioni e stipendio in crescita: il bonus Maroni per chi non sfrutta la quota 103
Funziona così: il lavoratore che sceglie di non andare in pensione con il canale di uscita anticipata potrebbe lavorare altri 22 mesi per andare in pensione da sessantaquattrenne anni (con 42 anni e 10 mesi di contributi). E ciò implica la possibilità di avere a disposizione due anni in più di contributi, che ovviamente si traducono in una pensione più alta. E non è tutto, perché il coefficiente di calcolo della quota contributiva della pensione a 64 anni è migliore rispetto a quello dei 62 anni, con conseguente e relativo aumento dell’importo della pensione.
Al vantaggio dello stipendio, il lavoratore che decide di posticipare l’uscita deve aggiungere quello oggettivo della pensione futura. Evitando l’uscita anticipata, può di fatti maturare altri contributi previdenziali. Stipendio maggiorato e pensioni più alte dunque… e poi c’è il bonus vero e proprio. Si tratta del cosiddetto bonus Maroni, reintrodotto proprio con l’ultima legge di Bilancio.
Non un bonus automatico. Per poterne approfittare, bisogna fare domanda all’INPS. Tutto si basa sul diritto non sfruttato alla quota 103: il lavoratore che non va in pensione pur potendo accedere al canale di uscita può godere di uno sgravio contributivo per la parte di contribuzione a suo carico (pari al 9,19%). In questo senso, lo sgravio può essere interpretato come un aumento dello stipendio.
Il bonus è disponibile per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato (che entro il 31 dicembre 2024 avranno maturato i requisiti per la pensione anticipata con quota 103). Ci sono anche lavoratori che oggi versano meno del 9,19% di contributi per effetto del taglio del cuneo fiscale. C’è per esempio chi gode dello sgravio del 3% (imponibili fino a 1.923 euro). Oppure del 2% per imponibili superiori a 1.923 euro e fino a 2.692 euro.