Bonuslandia, la terra dei bonus. Quanti siano ormai nessun lo conta, che siano ormai un modus governandi è acclarato e attestato da una lunga pratica. Funziona così: un partito politico, preferibilmente di quelli al governo, individua o crede di individuare un segmento sociale, una categoria, una attività economica più o meno strettamente imparentata con il suo elettorato, insomma un elettorato “sensibile”. E quindi a questa categoria o gruppo decide di intestare e conferire un bonus, cioè uno sgravio o un rimborso fiscale. Insomma un premio, un regalo, un riconoscimento ai “miei”. Che poi, si spera. anzi cisi fa di conto, saranno a loro volta riconoscenti.
E che io no? Un bonus per uno…
Un bonus per uno, un bonus ciascuno non fa male a nessuno? La politica, i partiti politici ne sono convinti, certi. Al punto che la vera politica economica è l’incentivazione dell’industria dei bonus. Ce n’è a decine, letteralmente a decine. E ogni forza politica ne cerca ancora, cerca bonus da intestarsi, quasi (anzi senza quasi) i bonus definissero identità politica altrimenti mancante. Dimmi a chi dai il tuo bonus e ti dirò politicamente chi sei…Scatta quindi, è abbondantemente scattato il che, io no? Ma non è proprio vero che un bonus ciascuno non faccia male a nessuno.
Solo nel magico mondo in cui nessuno paga
Partiti politici, Parlamento, sindacati, associazioni di categoria, rappresentanze professionali, Enti locali, opinione pubblica tutti vivono in un qui e oggi identificati come il magico mondo in cui nessuno paga, in cui in economia si realizza la magia dei pasti gratis. Il magico mondo è più che visibile nei numeri. L’Italia è un paese dove la spesa pubblica (e i bonus sono spesa pubblica) è pari al 57% del Pil, della ricchezza prodotta.
Circa mille miliardi, il 57 per cento del Pil, prima della pandemia e dei sussidi e ristori la spesa pubblica viaggiava intorno al 51 per cento del Pil. Ma il problema non è che sia cresciuta, il problema ignorato e rimosso è che bonus non fanno Pil. A fronte del 57% del Pil in spesa pubblica vi è una cifra pari al 47% del Pil come gettito fiscale. Cioè regolarmente, costantemente lo Stato spende più di quanto incassa. Enorme è la pressione politica e sociale perché incassi di meno ed enorme è la contemporanea pressione politica e sociale perché spenda di più.
Il 10 per cento ce lo mette…
Il che, la spesa pubblica, non sarebbe un dato negativo in sé. Dipende: una spesa per strutture e infrastrutture (treni, porti, strade, scuole, banda larga, digitalizzazione…) è cosa buona e giusta. Ma una spesa fatta per somma e somma e ammassamento di bonus è una spesa fondata sulla illusione-pretesa che qualcuno oggi e per sempre ripiani la differenza tra spese e entrate pubbliche. Qualcuno che non sia qualcuno di noi, qualcuno che sia qualcun altro…La Bce in eterno? I contribuenti tedeschi? I mitici super ricchi? Le multinazionali?
Bonus, una volta si chiamavano…
Mance elettorali, ma fa parecchio più fino chiamarli bonus. Dimenticando, omettendo il malus della vicenda. Che non è solo la loro alla lunga insostenibilità finanziaria, il malus è nella loro natura. Inevitabilmente una genesi di natura clientelare. Inevitabilmente settoriali e quindi generatori di sgomitamento tra settori. Inevitabilmente aperti alla truffa e all’imbroglio nella fabbricazione dei requisiti di accesso. Inevitabilmente ingiusti perché quando butti tra la folla da un camion pacchi alimentari inevitabilmente la distribuzione che ne risulta non è equa.