Borsa di Tokyo in picchiata a -7,32% trascina anche le piazze europee

Borsa di Tokyo in picchiata: -7,32% trascinata dai dati cinesi
Il premier giapponese Shinzo Abe (Foto Lapresse)

TOKYO – La Borsa giapponese non regge al calo dell’attività manifatturiera in Cina e crolla a -7,32%, dopo una corsa alle vendite che ha fatto bruciare all‘indice Nikkei oltre 1.000 punti (1.143,28), il balzo peggiore dal terremoto di Fukushima dell’11 marzo 2011.

Tokyo trascina con sé tutti i listini asiatici: Hong Kong cede il 2,4%, Sydney il 2%, Seul l’1,2%, Shanghai l’1%. E non lascia indifferenti le Borse europee: in apertura di seduta Londra cede l’1,8%, Francoforte e Parigi il 2,1%, Milano il 3%, Atene l’1,02%.

La Bank of Japan, in era di Abeconomics (la politica di deficit spending del premier Shinzo Abe), ha varato una nuova iniezione di liquidità da 2.000 miliardi di yen.

Quello del 23 maggio è il primo segnale forte dei problemi legati alle politiche ultra-espansive della BoJ, dopo che dall’inizio dell’anno la Borsa di Tokyo era salita del 48%. I tassi di interesse sui titoli di Stato decennali giapponesi sono balzati oltre l’1% per la prima volta da aprile 2012.

A portare al crollo un ruolo hanno avuto le parole del governatore dell’americana Federal Reserve, Ben Bernanke, che  ha fatto intravedere una prossima riduzione degli stimoli monetari negli Stati Uniti e degli acquisti di titoli di Stato.

Alle notizie dall’America si sono aggiunti i dati sull’attività manifatturiera in Cina, che si è contratta per la prima volta in sette mesi. A maggio l’indice HSBC è calato a 49,6, sotto la soglia di 50, spartiacque tra espansione e declino.

”I dati deboli dalla Cina insieme alla speculazione che la Fed possa ridurre il quantitative easing stanno causando panico” ha spiegato all’agenzia Bloomberg un gestore. ”Gli investitori stanno ritirando i loro soldi e riducendo gli investimenti in asset rischiosi”.

I timori di una contrazione dell’economia cinese hanno affossato i prezzi delle materie prime e del petrolio mentre i timori che la Fed sarà una delle prime banche centrali a ritirare le misure di stimolo grazie ai progressi dell’economia ha rafforzato il dollaro.

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