Il coronavirus spaventa le Borse, Piazza Affari brucia 17,6 miliardi Il coronavirus spaventa le Borse, Piazza Affari brucia 17,6 miliardi

Borse fiutano seconda ondata, contagio persiste…E lacrime sul calcetto rinviato

ROMA – Borse fiutano seconda ondata coronavirus, fiutano cattivo odore e arretrano a passo di fuga.

Borse d’Asia, d’Europa e Usa in sequenza le une dietro le altre hanno, come usa dire, bruciato ieri quasi 400 miliardi di capitalizzazione.

Cioè hanno ridotto in 24 ore di vendita affrettata e frettolosa di circa 400 miliardi il valore dei titoli azionari di aziende e imprese.

E questo nonostante le Banche Centrali di tutto il mondo e i governi di tutto il mondo stiano letteralmente inondando di liquidità monetaria le economie di tutti i continenti.

Settemila miliardi è la prima stima della massa monetaria mobilitata dai paesi del G20 per cercare di evitare asfissia del circuito domanda e offerta nazionali e globali. Settemila miliardi mossi dai governi, cui vanno aggiunti (e non è certo cosa da minori dimensioni) gli acquisti da parte delle Banche Centrali di ogni asset di debito pubblico.

Quindi economie mondiali inondate di denaro pubblico, al punto che le Borse mondiali da settimane crescevano negli indici. Crescevano perché, letteralmente, non si sa dove mettere i soldi.

Borse che crescevano nonostante le economie reali dei paesi del mondo si stiano facendo più piccole causa riduzione produzione, scambi, domanda e offerta, consumi e comparti causa coronavirus. 

Borse mondiali che crescevano fino a ieri nella certezza di una attesa relativamente breve della ripartenza delle economie. E, nell’attesa, si sentivano protette dall’alluvione di interventi dei governi e delle Banche Centrali.

Ma il contagio da coronavirus (che in Italia stiamo nell’immaginario condiviso vivendo come scomparso o in via di sparizione) negli Usa non ha ancora esaurito la cosiddetta prima ondata che già la seconda sembra sovrapporsi.

PRIMA ONDATA NON FINITA

Negli Stati Usa, esempio Arizona, dove si è riaperto il contagio è ripartito.

E basta saper e voler far di conto: se, ad esempio in Italia, a giugno viaggi al ritmo di alcune centinai di contagi accertati (quelli reali di certo son di più) al giorno (ieri 379) è più che plausibile che a novembre potranno essere ancora centinaia, anzi qualche centinaia in più.

L’estate doveva, deve ancora portare a contagio zero. Su questo è stata pianificata la mappa e la tempistica delle riaperture. Contagio zero a giugno dicevano le tabelle da tutti pubblicate e oggi da tutti dimenticate.

Da contagio zero siamo lontani, almeno per giugno. Speriamo contagio zero lo porti luglio.

Ma non va proprio come dovrebbe andare, nei fatti almeno un ritardo sull’appuntamento con contagio zero.

Ancora una volta il grafico dell’epidemia non coincide con quello della tollerabilità sociale.

CONTAGIO ZERO IN RITARDO

Il paese tutto si sente e si vive in ritardo sulle riaperture a pieno ritmo e velocità. 

I cinema dicono che con le regole del distanziamento non campano, non possono riaprire. Vero.

I negozianti dicono che se la gente non torna a muoversi per andare in ufficio, se non smette questo massiccio lavorar da casa, loro non campano, hanno clienti e introiti dimezzati. Vero.

Tutte le attività legate al commercio, ai viaggi, al turismo, alla ristorazione, all’intrattenimento soffre quello che ritiene un ritardo sul ritorno a come prima.

E progressivamente, a far da contorno, scenario, fondale ed eco a questo sentire, ogni giorno i comportamenti di massa più o meno consciamente puntano ad accorciare, annullare il ritardo. Esempio principe la mascherina: ce l’hanno quasi tutti, quasi tutti la usano poco o niente in maniera che sia utile e comunque la usano male.

Il sentir comune è sentirsi fuori, ormai fuori. Fuori da qualcosa dentro la quale si è invece ancora dentro. 

CALCETTO LIBERO RINVIATO

Infatti, mentre i soldi e i medici si sentono ancora zuppi dalla prima ondata e già intravedono lo spumeggiare alto e minaccioso della seconda ondata, diffuse lacrime di stampa e cittadini per il calcetto libero rinviato di 10 giorni.

Tempi e grafici dell’epidemia non coincidono con tempi e grafici della sostenibilità economica e tollerabilità sociale. Si può e forse si deve scegliere i tempi e i bisogni e il calendario dell’economia. Forse è il prezzo minore da pagare. Ma dovrebbe essere una scelta consapevole, non una rimozione auto accecante. 

Cioè? Cioè cinquanta morti e 400 contagi al giorno ci sembrano una accettabile condizione se dall’altra parte c’è e torna calcetto libero. Basta dirsi: ok, il prezzo è giusto. Basta dirselo e fare a capirsi. 

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