La tazzina di caffè e il cappuccino al bar arriveranno a costarci 6-7 euro? E’ possibile, ecco perché.
Accade che il frutto più puzzolente del mondo ( ), cioè il durian, sta talmente conquistando il palato dei cinesi da convincere sempre più i coltivatori di caffè del contiguo Vietnam, il secondo produttore al mondo dopo il Brasile, a cambiare coltivazione e a preferire quella del durian.
Frutto dolce e piccante che ho mangiato in Thailandia decenni fa scoprendo non solo il suo molto cattivo odore, ma anche che per questa spiacevole caratteristica la sua presenza è vietata sui trasporti pubblici non solo in Thailandia, ma anche a Singapore, Hong Kong e Giappone.
Il problema caffè è nato nel 2021 in Brasile, il più grande produttore mondiale di caffè del tipo arabica nonché produttore di un terzo di tutto il caffè del pianeta: quell’anno una eccezionale gelata ha fatto strage delle coltivazioni.
La scarsità di chicchi di caffè provocata dal disastro brasiliano ha spinto i grandi commercianti a rivolgersi al secondo produttore al mondo cioè a Vietnam, che è anche il più grande produttore di chicchi di caffè del tipo robusta. Questo è meno pregiato del tipo arabica, eppure il Vietnam gode fama di Paese dove si beve il miglior caffè del mondo.
Ma se la produzione brasiliana è stata messa KO dalle gelate, quella vietnamita è stata messa in crisi delle peggiori siccità degli ultimi dieci anni.
Ciliegina sulla torta, i cambiamenti climatici del pianeta hanno ridotto lo sviluppo delle singole piante provocandone così una minore produzione di chicchi.
Tutto ciò ha convinto i coltivatori vietnamiti a cercare una alternativa al caffè. E l’hanno trovata nel durian, mercato emergente grazie alla confinante Cina, che negli ultimi 12 mesi ne ha infatti raddoppiato le importazioni dal Paese vicino.
I coltivatori vietnamiti si sono resi conto che produrre ed esportare durian è ben cinque volte più redditizio del produrre ed esportare caffè.
E così mentre l’esportazione di durian nell’ultimo anno è raddoppiata quella del caffè si è invece dimezzata. L’Organizzazione Internazionale del Caffè stima che le scorte vietnamite sono ormai quasi esaurite, mentre la produzione ed esportazione di caffè da Colombia, Etiopia, Perù e Uganda non sono state sufficienti per alleggerire la situazione: il mercato resta con prezzi in salita.
Nonostante tutto ciò, un prezzo di mercato elevato potrebbe non tradursi in aumento dei prezzi del caffè al dettaglio. Secondo i calcoli della società di consulenza Allegra Strategies il costo dei chicchi rappresenterebbe infatti meno del 10% del costo di una tazzina di caffè. Perciò, per esempio secondo Felipe Barretto Croce, amministratore delegato della brasiliana FAFCoffees, i costi del caffè in particolare al bar aumentano soprattutto perché a causa dell’inflazione aumentano i costi di varie altre voci, a partire dalla manodopea fino all’affitto dei locali passando per quello dei trasporti.
Il Brasile produce un terzo del caffè mondiale, perciò tutti sperano nel suo prossimo raccolto e che le piogge tornino quanto prima, non oltre ottobre perché in tal caso anche in assenza di gelate il raccolto del prossimo anno si ridurrà. E il mercato o meglio il consumatore ne farà le spese.
Ma la vera minaccia per il futuro della coltivazione di caffè e per il costo della sua tazzina al bar o a casa fatta con capsule o caffettiera viene dal cambiamento del clima.
Secondo uno studio condotto due anni fa, anche se la produzione di gas serra venisse ridotta drasticamente c’è il rischio concreto che entro il 2050 l’area totale dei territori adatti alla coltivazione di caffè si riduca del 50%.
Cioè che si dimezzi. Con conseguenze ovviamente molto pesanti sul costo della tazzina, del cappuccino o del latte macchiato presi al bar o fatti in casa.
Dopo qualche secolo di successo internazionale il caffè entrerà in crisi come bevanda di massa e di socializzazione? E cambierà faccia o funzione la marea di bar sparsi nel mondo?
La cucina italiana
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