Fiat. Annibaldi: “Quella di Marchionne è una strategia obbligata, la Fiom ceda. Niente nuove marce dei 40 mila”

Pubblicato il 23 Dicembre 2010 - 12:58 OLTRE 6 MESI FA

Cesare Annibaldi

La Fiat non è più quella degli anni’ 70 e ’80, non può più rischiare con investimenti sbagliati: per Cesare Annibaldi, capo delle relazioni industriali Fiat dal 1973 a metà degli anni ’90 i tempi sono cambiati e non ci sono più i presupposti per una nuova marcia dei 40 mila.

In un’intervista a Tonia Mastrobuoni per il “Riformista”, Annibaldi guarda al presente della Fiat, alla proposta dell’amministratore delegato Sergio Marchionne e al braccio di ferro con i sindacati.

Per lui quella di Marchionne è “una strategia obbligata. Quando qualcuno insiste a dibattere ampiamente sulle ragioni e le prospettive di questa strategia, come se ce ne potessero essere altre, vorrei fare notare che non è così. Le cose sono cambiate, rispetto agli anni ’70 e il sindacato lo deve capire. Quanto al referendum è semplice: a Pomigliano il 62% per uno stabilimento destinato alla chiusura era troppo poco”.

Annibaldi invita i sindacati a riflettere perché di alternative non sembra ce ne siano: “A Mirafiori si tenta di dare un maggior peso al ruolo del sindacato. Il messaggio è che rispetto all’obiettivo dell’esigibilità degli accordi futuri, il referendum divento un elemento in più. E’ una responsabilizzazione dei sindacati”.

Quanto alla Fiom, per lui dovrebbe cedere, perché sia da parte di Marchionne sia da parte del sindacato i margini entro cui muoversi sono molto limitati, perché sarebbe anche “più difficile scioperare”. Il gioco sarebbe rischioso proprio per la Fiom stessa nel tira e molla con la Fiat che “non può più aspettare, non può più innescare un processo da cui si poteva prevedere che negli anni se le condizioni maturavano, si arrivasse a più efficacia e più produttività”.

Per Annibaldi dunque non ci sono più i presupposti come nel 1980 per mobilitare un fiume di scioperanti, non è più l’ora di una nuova marcia dei 40 mila. “Ci si dimentica che quella manifestazione avvenne in un contesto di straordinarietà. Dopo 35 giorni gli scioperanti avevano perso il contatto con la realtà, non avevano il polso della situazione”.

All’epoca non c’erano solo operai in strada, c’erano tantissimi cittadini, una città era e si sentiva coinvolta. “Quel blocco equivalse a un’occupazione…si creò una reazione proporzionata all’entità e alla gravità della situazione”.

Oggi non è più così e imboccando “la strada dell’antagonismo tout court”, dice Annibaldi, il pericolo che la Fiom corre non è da sottovalutare.