Tutti vorrebbero poter partecipare del successo di ChatGPT, come testimoniano i 6,6 miliardi di dollari che OpenAI ha raccolto di recente.
In pratica, siamo di fronte al più importante movimento di capitale di rischio verso un unico obiettivo mai registratosi negli Stati Uniti. Un passaggio epocale: OpenAI, il laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale costituito inizialmente dalla società no-profit OpenAI, Inc., vuole creare profitti, e per questo si sta trasformando in una società a scopo di lucro.
Anche se finora non è stato possibile investire direttamente nel progetto di chatbot o nella sua società madre (la OpenAI, appunto). Questo perché il laboratorio di ricerca fondato da Sam Altman ed Elon Musk non aveva ancora effettuato una IPO, ovvero un’offerta pubblica iniziale, quotandosi in borsa. Di conseguenza, chi ha fiutato l’affare o è rimasto intrigato dagli straordinari progressi della tecnologia ha provato comunque a investire sul futuro di ChatGPT comprando azioni di aziende leader nell’AI che collaborano con OpenAI. Vale a dire Blackrock, IBM, Microsoft, Nvidia, Meta Platforms, MGX, Alibaba, Sap…
C’è però un problema alla base dell’intero discorso. Un particolare spesso del tutto ignorato da chi sogna di poter partecipare agli utili di questa importante rivoluzione tecnologica. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha un tasso di “combustione” astronomico. Aziende come OpenAI, per continuare a svilupparsi e a reggere il confronto con la concorrenza, devono raccogliere continuamente fondi, ma non possono certo ripagare gli investitori: quei soldi raccolti, così come gli utili, vanno subito reinvestiti per la ricerca.
Questa è una delle differenze fondamentali tra OpenAI e il suo principale concorrente, ovvero Google. Il laboratorio responsabile di ChatGPT, in pratica, non realizza profitti pur avendo sposato di recente lo scopo di lucro. Al contrario di Google che realizza decine di miliardi di profitti ogni anno e dispone di una liquidità di circa 100 miliardi di dollari.
A investire in OpenAI sono dunque quei grandi nomi della tecnologia che possono anche sbilanciarsi, senza aspettarsi guadagni immediati. Su tutti la Thrive Capital di Joshua Kushner, e poi i già citati Microsoft (che vuole portare ChatGPT su WhatsApp) e Nvidia, ma anche SoftBank, Khosla Ventures, Altimeter Capital e altri.
E così il laboratorio è riuscito a raccogliere più di 6 miliardi di fondi. Tanti soldi, certo, che però saranno presto spesi per la gestione dei progetti base. OpenAI ha infatti bisogno di un flusso costante di capitale per l’addestramento dei nuovi grandi modelli di intelligenza artificiale generativa (le sole bollette per l’energia utile a far funzionare i computer devono essere spaventose), la gestione e l’utilizzo del data center e del cloud e il reclutamento di ricercatori e ingegneri qualificati.
L’azienda ha assunto mille dipendenti nell’ultimo anno, raddoppiando le proprie dimensioni. Ma le concorrenti stanno cercando da mesi di rubarle gli uomini migliori. Tutto ciò a fronte di entrate non così alte. Anche se tantissime persone hanno usato e usano ChatGPT, solo una minima parte di esse è passata dall’account gratuito a quello a pagamento.
OpenAI ha registrato un’enorme crescita nell’utilizzo di ChatGPT proprio da quando l’azienda ha cominciato a consentire l’accesso anche agli utenti che non disponevano di un account. Ma gli investitori non stanno facendo beneficenza e si aspettano dividendi. E infatti Microsoft e le altre aziende che hanno investito potrebbero anche chiedere la restituzione del loro denaro se la società di AI non dovesse compiere nuovi cambiamenti nella governance in direzione del pieno scopo di lucro entro un biennio.
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