
Chiusa a Verona Vinitaly, la fiera del vino più grande d’Europa. Preoccupano i dazi di Trump ma senza panico (foto ANSA) - Blitz quotidiano
Chiusa mercoledì sera a Verona la quattro giorni di Vinitaly, la più grande fiera europea del vino e dei distillati. Meglio: la più grande enoteca del mondo. In sintesi: un successo, con buona pace dei dazi di Trump. Nei 100mila metri quadrati di esposizione oltre 4mila cantine di 140 Paesi che hanno offerto assaggi a oltre 100mila “winelover”ma anche agli operatori e ai top buyer puntuali all’appuntamento veronese. Va detto subito: è stato il Vinitaly della grande paura dei dazi americani che potrebbero complicare terribilmente le nostre esportazioni. Si è notata una indubbia preoccupazione ma non fortunatamente il panico, come si temeva il giorno dell’apertura. Viceversa è emersa certo la consapevolezza dei guai in arrivo ma, in parallelo, si è evidenziata una voglia di combattere, investire in nuovi mercati e progetti.
Rischio crollo dei consumi
Le produzioni italiane saranno prevedibilmente meno appetibili degli Stati Uniti. Chiaro il messaggio di Antinori: ”Il vino tricolore arriva con un prezzo superiore a quello praticato da noi”. Si teme che i consumatori statunitensi avranno una capacità di spesa ridotta. Ma la crisi può influenzare il business anche in altre aree del mondo e pure sul mercato interno. Una preoccupazione certamente fondata. I dazi di Trump sono entrati in vigore mercoledì 9 aprile nella misura del 20% su tutti i generi spediti Oltre Oceano, fatta eccezione per l’acciaio, alluminio e auto, già assoggettati alla aliquota del 25%. Si chiama instabilità finanziaria, conseguenza delle tensioni commerciali che hanno fatto tremare i mercati azionari e bruciato miliardi in pochi giorni a livello globale. Risultato: soffre Wall Street, in picchiata le Borse europee ed asiatiche. A Verona il presidente della associazione dei produttori di vini, spiriti e aceti di Confindustria, Albiera Antinori, rifletteva sul combinato disposto dazi e borse in discesa: ”Negli USA il vino italiano arriva, come detto, con un prezzo superiore a quello che pratichiamo da noi. Se mettiamo insieme il ricarico determinato dalle super tasse di ingresso, appena fissate, ed il calo del potere d’acquisto che deriverà da inflazione prevista in salita e cadute delle borse, risulta evidente che le nostre produzioni non cammineranno come sempre. I risparmi degli statunitensi sono molto più subordinati all’andamento dei mercati finanziari rispetto all’Italia; e quindi è probabile che se la situazione non cambierà i consumatori avranno una capacità di spesa inferiore”.

Le ripercussioni negli Stati Uniti
Tutti d’accordo. A cominciare dalla Unione Italiana Vini che rappresenta oltre 150.000 viticoltori e l’85% del valore delle esportazioni. Le ripercussioni ci saranno inevitabilmente poiché il dazio contribuisce ad aumentare il costo del bene e la tendenza in atto, non favorirà le merci italiane.
Le altre aree del mondo
In tutto il globo si è convinti che la crisi possa influenzare il business del vino in altre aree del mondo a cominciare dall’Asia dove le cantine italiane lavorano bene sopratutto col Giappone e Corea del Sud. Secondo Confesercenti, che proprio martedì ha incontrato a Palazzo Chigi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni insieme ai vertici delle associazioni d’imprese, la guerra commerciale tra USA e Ue rischia di ridurre di circa 11,9 miliardi di euro in 2 anni i consumi delle famiglie italiane. Tutti gli operatori italiani sono poi convinti che il mercato USA non sia sostituibile nel breve periodo visto che alla destinazione USA è diretto il 24% del vino nazionale per oltre 1,2 miliardi di euro. Comunque la parola d’ordine è investire. La caccia ai nuovi mercati è cominciata.