È necessario tornare a fare una politica economica nel settore dell’agricoltura, uscendo dalla logica dell’emergenza. A dirlo è il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, in un’intervista ad “Agenzia Nova“. Secondo Giansanti, bisogna passare “da una logica esclusivamente legata all’incentivo a una logica in cui il tema della centralità e della sicurezza alimentare sia un plus per i nostri agricoltori”.
La politica economica, sottolinea ancora il presidente di Confagricoltura, “si costruisce con politiche di filiere, attraverso un progetto di strategia. Tutto questo, però, va pianificato, perché altrimenti la logica basata sull’urgenza e l’emergenza non ci permetterà di raggiungere i risultati attesi”. Nel 2022, spiega Giansanti, “avevamo immaginato di produrre di più e poi ci siamo imbattuti in un’annata estremamente siccitosa. La produzione è rimasta in linea con quella degli anni precedenti, pur seminando di più. Dobbiamo fare di tutto – avverte il presidente di Confagricoltura – affinché le coltivazioni maggiormente interessate dalla guerra russo-ucraina tendano ad aumentare negli anni”.
Tuttavia, prosegue Giansanti, “le risorse a disposizione del ministro Lollobrigida non sono così importanti da poter permettere un accompagnamento incentivato. Quindi lasciamo tutto al mercato”, che però in questa fase è “estremamente volatile”. Quando si parla di autosufficienza alimentare, secondo il presidente di Confagricoltura, bisogna tenere presente il fatto che oggi “viviamo in un mondo globale” e che “la globalizzazione non tende ad arretrare”.
In un mercato che, soprattutto a seguito della guerra russo-ucraina, ha generato spinte inflattive a livello globale, ogni singolo Paese in questo momento sta utilizzando strumenti che vanno a limitare l’accesso sul mercato da parte di Paesi terzi. Siamo tornati alla stagione delle restrizioni, delle barriere non tariffarie, e questo in un contesto non regolamentato crea delle preoccupazioni per la libera circolazione delle merci”.
In questo quadro, “l’Europa è molto assente”. “La Politica agricola comunitaria – ha evidenziato Giansanti – è stata pensata nel 2017, in un mondo completamente diverso. Abbiamo affrontato il Covid. Stiamo affrontando la guerra. La pianificazione di cinque anni fa è completamente superata”. Inoltre, osserva Giansanti, “ancora oggi non esistono misure d’intervento a sostegno e a tutela dei singoli Paesi”.Sul fronte della Politica agricola comune (Pac), Giansanti ricorda che come Confagricoltura “siamo stati l’unica associazione agricola europea a criticare fortemente la costruzione di una politica agricola, che non è più una politica economica ma è diventata una politica sociale”.
L’anno scorso, prosegue Giansanti, “abbiamo dimostrato” all’allora ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, “come oggi ci sia una dispersione di risorse economiche su un numero elevatissimo di agricoltori, che non sempre sono agricoltori professionali”. Questi ultimi “hanno gli stessi diritti di chi oggi fa impresa in maniera strutturata”, spiega Giansanti, che sottolinea: “Avevamo chiesto di fare una selezione”, ma “non è stato fatto”. Ecco perché, per quanto riguarda il tema dei terreni non coltivati, “se si dà la possibilità ad un agricoltore di avere delle risorse economiche a prescindere dal rischio di mercato, molti imprenditori, strutturati o non, a volte preferiscono non andare a investire. Dobbiamo uscire dalla logica della politica sociale – afferma perciò il presidente di Confagricoltura – e tornare a promuovere una politica economica”.
Il made in Italy continua ad andare bene, anche se le esportazioni potrebbero essere incrementate. Attualmente, secondo Giansanti, “non riusciamo ad esportare di più, perché non riusciamo a produrre di più. Manca la manodopera”, evidenzia il presidente di Confagricoltura, secondo cui “dovremo fare una riflessione insieme al governo su come andare a cercare manodopera qualificata, su come qualificarla nei loro Paesi d’origine e stabilizzarla in Italia. Oggi stiamo di fatto promuovendo formazione per tanti operai che arrivano dall’Italia, ma che poi trovano lavoro in Paesi dove il costo del lavoro per le imprese è molto basso”. Il presidente di Confagricoltura infatti avverte: “Quando si parla di giovani che tornano all’agricoltura, c’è sempre da capire se tornano nella veste di titolari o di collaboratori. Sotto il punto di vista dei collaboratori, stiamo registrando che nelle fasce giovanili abbiamo sempre più lavoratori” stranieri. “Oggi la maggior parte dei nuovi lavoratori nelle fasce giovanili sono di origine non italiana, mentre nelle fasce d’età più avanti abbiamo invece ancora un 50-50 tra operai italiani e stranieri”.
Confagricoltura, in questo contesto, ha un piano strutturato per rilanciare il settore. In questo periodo “stiamo incontrando i singoli ministri con un progetto volto appunto a ridare valore alla centralità dell’agroalimentare del Paese. C’è un aspetto che va dalla cultura alla produzione, al recupero del sociale, all’integrazione che l’agricoltura può garantire anche per le persone che oggi vivono in difficoltà, fino alla capacità dell’agricoltore di essere leader nella transizione energetica ed ecologica. Abbiamo un piano strutturato”, sottolinea il presidente di Confagricoltura, secondo cui tuttavia sono troppi i ministri con cui un’associazione deve parlare per presentare il piano. Nel nostro Paese “manca, come ad esempio avviene in Francia, un tavolo di coordinamento sull’agroindustria”.
Per il il settore, inoltre, è necessario mettere in campo un piano strategico nazionale, come fece in passato l’ex ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora. “Ho chiesto a tutti i sei ministri” delle Politiche agricole con cui mi sono confrontato nel corso degli anni “di mettere in campo un piano strategico nazionale. L’ultimo lo fece il ministro Marcora, cinquant’anni fa”, ricorda Giansanti, osservando che da quel momento in poi “abbiamo affrontato solamente logiche di urgenza e d’emergenza”. Anche se questo “non è un giudizio politico negativo nei confronti dei ministri che si sono succeduti, perché capisco che ci si trovi molto spesso di fronte a un’improvvisa pioggia da gestire”.
“Noi – prosegue Giansanti – il nostro piano lo abbiamo da tempo, ed è il piano di un’agricoltura sempre più innovativa, aperta e che non ha paura del mercato, che deve proteggere il suo made in Italy e lo deve raccontare. Un’agricoltura che si deve aprire ai frutti della scienza e della ricerca”. L’innovazione, in particolare, sarà un elemento essenziale dell’agricoltura del futuro, dai droni ai satelliti. Infatti, l’innovazione tecnologica “è la nuova rivoluzione: chi non ne coglierà i frutti rimarrà fuori, ai margini del sistema produttivo”. “Si potrà continuare a fare agricoltura con la vanga e con la zappa – prosegue il presidente di Confagricoltura – ma il mercato oggi chiede questi aspetti, non tanto dal punto di vista della spinta produttiva e di capacità competitiva, su cui tutti gli imprenditori si misurano giornalmente. Il tema oggi – rimarca Giansanti – è la sostenibilità”. Infatti, “rispetto a consumatori sempre più attenti, che vogliono sapere come si ottiene un prodotto, la rivoluzione tecnologica e digitale permette agli agricoltori di spiegare come si ottengono le produzioni” e come, ad esempio, “grazie a un sensore, ai droni, ai satelliti viene utilizzata meno acqua rispetto al passato”, passando “da una logica di uso preventivo a un uso mirato”.
Interpellato sul ruolo della grande distribuzione, Giansanti afferma: “Sarebbe quanto mai auspicabile che si possa avere ancora un’ulteriore concentrazione dei grandi sistemi della grande distribuzione organizzata”. Oggi, spiega il presidente di Confagricoltura, “abbiamo una serie di aziende con fatturati più o meno identici che sono dei campioni nazionali ma sono piccoli nel contesto europeo. In quel percorso, è evidente che la grande distribuzione organizzata passa anche attraverso una pianificazione territoriale di apertura a livello locale, che molto spesso non crea valore, ma crea fortissima concorrenza tra le singole catene. Questo genera una corsa al ribasso di offerte, ma dall’altro – aggiunge Giansanti – una perdita di competitività e di costruzione di valore aggiunto da parte delle stesse catene della grande distribuzione”.
Alla domanda se il progetto di Webuild per la realizzazione di dissalatori possa costituire un sostegno per l’agricoltura italiana, Giansanti risponde che sarebbe positivo “se riuscissimo a togliere anche noi, come già succede in Israele, il sale dall’acqua. Noi oggi abbiamo l’effetto contrario”. “Prenderò contatto con Webuild, un campione nazionale nell’ambito dell’attività infrastrutturale”, aggiunge il presidente di Confagricoltura. Più nel dettaglio, in merito al rapporto con Israele, Giansanti evidenzia: “Abbiamo una stretta collaborazione, che viene rinnovata ogni anno. L’anno scorso abbiamo fatto una bellissima iniziativa con l’ambasciata israeliana a Roma. Abbiamo promosso una giornata di dibattito e di confronto sul modello agricolo israeliano e quello italiano. Le nostre aziende vedono ciò che in Israele è possibile. Quello che a noi viene presentato come il futuro oggi in Israele è il presente”.
Infine, interpellato sulla realizzazione del progetto invasi nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il presidente di Confagricoltura afferma che “bisogna vedere se le nostre Soprintendenze rilasceranno un aspetto autorizzativo che permetterà agli imprenditori di realizzare, entro la scadenza del 2026, il grande progetto piano invasi che abbiamo presentato”.
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