Confindustria, derby a Genova, Edoardo Garrone sfida Antonio Gozzi: la lotta fratricida favorirà altri candidati?
Occhio ai genovesi imprenditori, che sembrano da anni, se non decenni, acquattati nell’ombra delle casseforti, delle banche dei loro investimenti, delle loro proprietà immobiliari e un po’ lontani dal rischio da correre su questi mercati in tumulto tra guerre, recessioni, inflazioni, intelligenze artificiali, vie della seta partite e poi arenate nella nuova geopolitica.
Occhio a questi imprenditori dalle lunghe tradizioni, dai nasi fini, dal fiuto ereditato nel corso dei secoli, forse dei millenni, che un tempo conquistavano il mondo, finanziavano le imprese dei Grandi della terra, si rinserravano nella loro Repubblica inaccessibile tra le montagne e il mare dalle immense pianure estese verso ogni orizzonte come scriveva Fernand Braudel e aveva dimostrato Cristoforo Colombo.
Non sono spariti, anzi ecco che compaiono improvvisamente sulla scena nazionale in una sfida a due contro il resto dell’Italia imprenditoriale per conquistare il ruolo di presidente di Confindustria che si gioca nella prossima primavera e che è, appunto una primogenitura imprenditoriale.
Già chiamarlo derby, come si divertono a fare i giornalisti misurando sia la genovesità dei contendenti, sia le loro impegnate fedi calcistiche, sembra fuori posto.
Cosa è allora la possibile sfida tra Edoardo Garrone, figlio di Riccardo, presidente dell’ospedale Gerolamo Gaslini e del consiglio di amministrazione del Sole 24 Ore, erede dell’impero energetico Erg in grande spolvero e Antonio Gozzi, presidente Duferco e di Federacciai?
Un derby appunto tra la Sampdoria nel cuore di Garrone che l’ha presieduta dopo suo padre Riccardo, pagando poi prezzi altissimi per averla ceduta all’inaffidabile Ferrero, quel pittoresco presidente e azionista che l’ha sprofondata verso un disastro scampato per miracolo e l’Entella, la squadra che Gozzi ha portato fino in serie B nella sua amata Chiavari?
Così sembrerebbe una barzelletta, un inappropiato parallelismo calcistico.
Si tratta, invece, della imprevista e intrigante contesa per conquistare la presidenza di Confindustria, insieme ad altri contendenti (alcuni molto accreditati) , di un organismo che nella storia ha svolto un ruolo fondamentale, soprattutto nel Dopoguerra e nei mitici anni Sessanta del boom, con la presidenza del genovese Angelo Costa. E che, più recentemente come tutti i cosidetti “corpi intermedi”, ha perso peso nella economia moderna, in un confronto socio-economico dove anche il sindacato, fiero contendente degli industriali, non è più quello di prima.
Di questa battaglia per conquistare in gennaio il ruolo di candidato a quella poltrona di Viale Astronomia a Roma, che Carlo Bonomi sta per lasciare, Genova diventa protagonista proprio perché schiera due concorrenti.
Gozzi partito nettamente primo e Garrone dopo, con uno scatto che sembra avere preso in contropiede e fatto arrabbiare non solo l’altro ramo della sua famiglia e in particolare Giovanni Mondini, ancora presidente di Federliguria, ma anche Confindustria Genova, dove presiede Umberto Risso.
La candidatura di Gozzi aveva già una spinta forte, capace di mettere in crisi i pretendenti, partiti in vantaggio come Emanuele Orsini prima di tutto, ma anche Alberto Marenghi e Giovanni Brugnoli, i vice di Bonomi.
Il presidente di Duferco aveva gettato sulla bilancia il peso non solo del suo acciaio, il business di famiglia e di tante imprese con voglia di riscatto in una nuova politica industriale italiana ed europea, ma anche il concetto di una nuova rappresentanza industriale da giocare con forza in Italia, ma anche in Europa e nel mondo terremotato da una nuova geopolitica, drammaticamente mutante ogni giorno.
Se Gozzi era partito con il suo stile, da una parte “coperto” come si fa in questi casi, ma attivo nelle sue numerose e influenti relazioni, i suoi avversari fino all’arrivo di Garrone non erano stati fermi. Anzi. Ma si può dire che in quelle contrapposizioni c’erano due belle visioni del ruolo conteso.
Garrone, che non ha ancora parlato pubblicamente, non è certo nuovo a battaglie confindustriali a Genova e a Roma. All’inizio degli anni Duemila è stato presidente dei Giovani industriali italiani, ingaggiando confronti non certo leggeri con il vertice di Confindustria di allora.
Rimane impressa ancora oggi la sua battaglia contro Antonio D’Amato che non a caso è oggi tra i sostenitori di Gozzi. Sarà qui una delle motivazioni della improvvisa discesa in campo dell’ex petroliere diventato leader con la Erg nelle energie rinnovabili?
E non si può scordare la sua indisponibilità, anni dopo, a ricoprire la carica di presidente di Confindustria Genova, in un momento molto delicato, quando anche suo padre Riccardo glielo aveva chiesto.
Sembrava già allora che un ruolo nazionale fosse più gradito e , infatti, Garrone divenne poi vice di Emma Marcegaglia e di Luca di Montezemolo, che oggi sarebbero tra i fautori della sua candidatura.
Se per Gozzi la motivazione del possibile impegno è chiara e decisiva, anche in quella frase della sua ultima intervista a “Repubblica” in risposta alla domanda : “Bisogna farsi valere più in Europa, l’Italia ha fatto poco anche a livello di Confindustria: oggi da più parti si fa il suo nome per la corsa alle presidenziali….
Risposta: “ Non ci si candida alla presidenza di Confindustria e le ambizioni personali non contano nulla. Ciò che conta è riportare l’industria al centro delle politiche europee.”
E questa sembra essere, Confindustria o no, la mission di Tonino Gozzi.
Qual è quella di Edoardo Garrone: soltanto avere aderito a una istanza uscita da un consesso industriale di forte “marca”, con personaggi come Diana Bracco, Emma Marcegaglia, Marco Tronchetti Provera e di altri industriali che considerano “divisiva” la candidatura Gozzi, giudicato troppo alfiere di una industria pesante, in una realtà che sta diventando molto più fluida?
O c’è il rilancio di una ambizione che riemerge dopo tanti anni sul filo di una storia famigliare così forte e di tanti impegni nella rappresentanza industriale?
In attesa che arrivi qualche risposta, anche magari lapidaria, come quella di Gozzi, bisogna considerare che Garrone, oltre al ruolo nel “Sole 24 Ore”, che lascerebbe in caso di competizione confindustriale, è anche presidente dell’Ospedale Gaslini, impegnato in una colossale operazione di ristrutturazione e resta presidente di Erg con il fratello Alessandro e con abili e competenti manager nella epocale transizione energetica, della quale la sua azienda è stata una primogenita.
Insomma questo scontro dimostra in ogni caso che Genova è diventata un modello del fare, se riesce a schierare ben due concorrenti in una corsa che anche grazie a loro sta assumendo un peso che recentemente aveva perso.
E’ una specie di riscossa per una area che passa per essere oramai in fase di potente de industrializzazione e dove rimangono aperte partite delicatissime come quella della Ex Ilva, il nocciolo residuale di un grande primato dell’acciaio, che proprio uno come Gozzi potrebbe difendere meglio di chiunque altro.
Lo strappo di Garrone potrebbe mettere in crisi l’ipotesi di una presidenza targata Genova, più di cinquanta anni dopo quella memorabile di Angelo Costa, che riuscì, insieme ad altri grandi genovesi dell’epoca come i politici Paolo Emilio Taviani e Giorgio Bo e il tecnocrate Giuseppe Petrilli, presidente Iri, a costruire la Genova del futuro.
Il rischio che una contesa interna faccia prevalere altre candidature esterne, già avvantaggiate, disperdendo i voti, esiste sicuramente. Se, quindi, Genova mostra una sua anche inaspettata forza con questo derby (chiamiamolo pure così), la possibilità di restare fuori da un ruolo così importante in questo momento è alta con ben due Cavalieri in campo.
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