Si presume che i soldi sui conti cointestati appartengano ai cointestatari in quote paritarie, ma è possibile anche altrimenti.
Per quote paritarie si intendono parti identiche. Dunque i conti correnti cointestati, di proprietà di due o più persone, implicano che la titolarità del rapporto spetti a tutti i cointestatari. Tutto ciò salvo che non risulti un patto contrario. Se, per legge, la titolarità del conto spetta a tutti i cointestatari secondo quote fisse o prestabilite, sui cointestatari ricadono di conseguenza anche tutti i diritti e doveri del caso.
La norma di riferimento è l’articolo 1854 del Codice Civile secondo cui, nel caso in cui il conto è intestato a più persone, con facoltà di compiere operazioni insieme o separatamente, “gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto“. Ecco come la legge regola l’ipotesi dei conti correnti cointestati a firme disgiunte. Ognuno dei cointestatari, indipendentemente, può effettuare prelievi e altre operazioni se non supera la propria quota.
Quindi, ci si può muovere liberamente anche senza la presenza o l’autorizzazione dell’altro. Per le transazioni che coinvolgono una quota più alta serve invece quasi sempre il consenso di tutti i correntisti: la banca non può pagare uno solo di essi.
La proprietà di un conto cointestato, pur spettando a tutti i cointestatari in parti uguali, però, non impedisce in modo assoluto che un cointestatario possa prelevare anche oltre la propria quota. In molti contratti, la banca è tenuta a consentire a ciascuno dei cointestatari di operare liberamente sul conto. La responsabilità in caso di appropriazione indebita non è dell’istituto di credito ma del cointestatario che non ha rispettato le quote di proprietà.
Firme disgiunte e patti contrari: a chi appartengono davvero i soldi dei conti cointestati
Nel caso di conti cointestati a firma disgiunta, quindi, ciascun titolare può compiere operazioni in maniera autonoma, senza necessità di consenso. Ciò vale per prelievi, bonifici e pagamenti, ma non per altre operazioni come la chiusura del conto. Tutto cambia in presenza dei già citati patti contrari. Possono infatti esserci accordi specifici tra i cointestatari che stabiliscono una diversa ripartizione delle somme rispetto alla presunzione legale di quote uguali.
Capita spesso che i cointestatari possano stipulare un accordo scritto che definisce le percentuali di proprietà diverse dal 50% a testa. Inoltre è possibile dimostrare che le somme depositate appartengono in realtà a uno solo dei cointestatari. Succede con le eredità e attraverso un’opportuna documentazione che attesti la provenienza dei fondi. E poi ci sono le deleghe: un correntista può delegare un’altra a operare sul suo conto senza cointestarglielo.
Ecco un caso chiaro in cui c’è un unico proprietario delle somme malgrado la possibilità di molteplici soggetti atti a operare. In caso di decesso di uno dei cointestatari, la situazione cambia a seconda delle politiche della banca e delle disposizioni legali. La banca può bloccare temporaneamente il conto per verificare la situazione e attendere la presentazione della dichiarazione di successione. Più spesso, la quota del defunto finisce automaticamente nell’eredità e viene trasferita agli eredi legittimi.
In questo caso, il cointestatario superstite mantiene il diritto sulla propria quota del conto (tacitamente il 50%), a meno che non ci siano accordi diversi. E se il conto è a firma disgiunta, il cointestatario superstite può tranquillamente continuare a operare sul conto per la propria quota, ma non può prelevare la quota del defunto senza il consenso degli altri eredi.