Core Tier 1 al 9% vuol dire: le banche diminuiscono i prestiti

foto Lapresse

ROMA – Vai in banca e non ti prestano più soldi. Allo sportello ti senti dire che non dai sufficienti garanzie, anche se sei uno che ha gli stessi soldi e lo stesso patrimonio di quando in filiale ti accoglievano col tappeto rosso e non ti facevano nessun problema a concederti mutui e prestiti. I giornali economici ti spiegano: è colpa del Core Tier 1, un altro termine astruso del vocabolario della crisi. Il Core Tier 1 è il principale indicatore di solidità patrimoniale: consiste nel rapporto fra il patrimonio base di una banca e gli “impieghi”, cioè i soldi prestati. L’Eba, l’autorità bancaria europea, ha chiesto agli istituti di credito di portare il Core Tier 1 al 9% entro il giugno dell’anno prossimo. Cosa significa? Che le banche, ogni 100 euro prestati devono averne almeno 9 in cassa.  E allora? Allora siccome in economia non ci sono pasti gratis, o aumenti il patrimonio o diminuisci gli impieghi. Tradotto: o le banche trovano nuovi e tanti soldi oltre a quelli necessari per la ricapitalizzazione appena decisa, oppure diminuiscono i prestiti. Nella difficoltà di scegliere la prima strada si sono incamminate sulla seconda.

Alle banche serviranno 106 miliardi di euro, secondo i calcoli dell’Eba, è il costo della ricapitalizzazione decisa a Bruxelles. Quelle che dovranno ricapitalizzarsi più di tutte sono le banche greche: 30 miliardi. Seguono le spagnole: 26 miliardi. Poi le italiane: 14,7 miliardi. Il punto più fragile del portafoglio dei nostri istituti di credito sono i bond sovrani, in particolare i greci, gli irlandesi, i portoghesi, gli italiani e gli spagnoli. Bond che verranno valutati ai prezzi di mercato e non a quelli di acquisto. I titoli di stato greci, per esempio, stanno per subire un “hair cut”, una svalutazione del 50%. Chi ci ha investito 20 miliardi, ne otterrà massimo 10 rivendendoli.

Le banche dell’Europa meridionale sono state così penalizzate in quanto “detentori di titoli pubblici periferici”. Mentre gli istituti del Nord Europa, che hanno meno bond a rischio ma in compenso avevano investito su titoli tossici in gran quantità, dovranno pagare un prezzo meno salato al piano salva-banche. Per adeguarsi ai parametri dell’Eba ai tedeschi basteranno 5 miliardi e ai francesi 9.

Così, mentre le nostre banche vanno a caccia di soldi per portare il loro Core Tier 1 al 9%, chi va a chiedere loro soldi dovrà fare i conti con condizioni più svantaggiose oppure con un semplice “no”. Secondo Mutuionline, sui prestiti immobiliari lo “spread” (il divario) fra il tasso base europeo (l’Euribor) e quello che viene applicato dalle banche ai clienti è raddoppiato in 4 mesi: dall’1,36% di giugno al 2,49 di ottobre. Un’impresa che chiede un leasing oggi si vede applicare tassi più alti del 5% rispetto all’Euribor.

Risultato: famiglie e aziende rinunciano a chiedere soldi, ovvero a comprare casa e a fare investimenti. Le rilevazioni Crif ci dicono che le richieste di prestiti sono calate del 23% (!) in un anno. Conseguenza finale: il “credit crunch”, la stretta o meglio la “trombosi” del credito, che si ha quando non girano più i soldi, che invece come il sangue devono circolare: altrimenti l’economia rischia l’infarto.

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