ROMA – “Finalmente la politica italiana ha sgonfiato la bolla Monti” titolava il 9 dicembre il Financial Times all’annuncio delle dimissioni del prof. “L’Italia ci guadagna, se Monti corre alle elezioni” titolava lo stesso Financial Times il giorno dopo, complimentandosi per la scelta del prof e anzi esortandolo ad approfittare dello spazio elettorale concessogli dall’inaffidabilità conclamata di Berlusconi, sempre più vicino alle posizioni populiste di Beppe Grillo, e dal velleitarismo di Bersani il cui pragmatismo verrà fatto ostaggio della sinistra al momento di dover tagliare le spese e liberalizzare il mercato del lavoro.
Pallone gonfiato o salvatore della Patria? La ricerca di una impossibile via di mezzo è il quesito del momento sulla scena europea, lo stop and go della “bibbia” della finanza europea rivela un certo imbarazzo interpretativo, utile a definire il problema Monti. Il giudizio del mondo, specie in Europa e Usa, sul ritorno di Berlusconi, sembra abbastanza unanime: non è una buona cosa, addirittura è un pericolo per la stabilità dell’euro.
Ma sul professore invece si condensa, anche a uno sguardo esterno, la stessa alternativa di pensiero che in Italia ha prodotto la strana convergenza di governo dei partiti “nemici” salvo poi, chi prima chi dopo, lavorare per sfilargli da sotto alla prima occasione il piedistallo sul quale lo avevano innalzato. “Pallone gonfiato” perché? Wolfgang Münchau, il 9 dicembre, segnalava, per conto del Financial Times, la piacevole novità delle dimissioni di un governo tecnico. Si complimentava con lo scatto d’orgoglio della politica pronta a riassumersi le sue prerogative, imprescindibili per sostenere le sfide sul campo.
La premessa: l’acritica adulazione del prof si basa sulla convinzione che solo mettendo all’angolo i politici si possano risolvere i problemi economici italiani. Invece i politici hanno fatto scoppiare la “bolla” Monti, quel momento magico in cui i rendimenti dei bot decennali sono scesi di 200 punti: gli investitori internazionali gli hanno dato credito, questa la tesi, solo perché non potevano sperare in altre buone notizie. Ma i problemi restano, il quadro con Monti premier è cambiato di pochissimo e anzi, attraverso l’austerity, l’economia italiana è sprofondata in una più profonda recessione di cui si iniziano a sentire gli effetti.
Bravo Monti, cioè “Un liberale a Roma”, l’editoriale del giorno dopo, smonta la tesi precedente e assume come centrale il punto di vista dei mercati, che non amano le ingombranti personalità politiche, piuttosto preferendo un mite tecnocrate. La buona regola che vuole che sia un governo eletto l’unico a essere legittimato a portare a compimento le riforme di cui il Paese ha bisogno, non vale per l’Italia. L’editoriale non riconosce nell’offerta politica italiana un soggetto in grado di assumere questa responsabilità: dunque, farebbe bene Monti a presentarsi come candidato alle elezioni per continuare la sua politica di austerità.
E la crescita? Viene in mente l’editoriale di Luca Ricolfi, dedicato al problema Monti. Stiamo peggio o meglio dall’avvento del prof? L’Italia stava messa decisamente peggio, era sull’orlo del burrone, i cittadini rischiavano di perder tutto: oggi l’Italia sta meglio, è più credibile, ci siamo allontanati dal burrone, ma le famiglie stanno invece decisamente peggio. Avrebbe fatto meglio Berlusconi? No. Avrebbe potuto fare meglio Monti? Sì. Il punto è proprio qui: va bene il rigore, ma senza crescita gli obiettivi di bilancio sembrano una chimera, visto che tra tasse e tagli (e nessun tentativo serio di mettere davvero pressione ad Angela Merkel) il Pil si deprime, e se non cresce quel denominatore, “non si va da nessuna parte”, parafrasando Matteo Renzi. Che sarebbe piaciuto al Financial Times come futuro premier, visto che Bersani proprio non ispira nessuna fiducia al Financial Times. In entrambe le sue posizioni, quando attacca e quando loda Monti.
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