Cgil: spesa sociale tagliata del 78,7 per cento in un anno

Pubblicato il 8 Giugno 2011 - 13:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Addio welfare state in Italia. A fare le spese della crisi globale è lo “stato sociale europeo”. Lo dice il Rapporto sui diritti globali 2010 promosso da Cgil e alcune associazioni italiane, tra cui Arci, ActionAid, Antigone e Legambiente.

La spesa destinata ai servizi sociali è stata tagliata del 78,7 per cento, passando da 2.527 milioni stanziati nel 2008 ai 538 milioni della legge di stabilità 2011″.

Il Fondo per le politiche sociali è passato dai 584 milioni del 2009 ai 435 del 2010 e arriverà nel 2013 ad appena 44 milioni. Il Fondo per la famiglia è passato dai 346,5 milioni del 2008 ai 52,5 milioni attuali (il taglio è del 71,3%). Il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, finanziato nel 2007 con 100 milioni dal governo Prodi, è sparito, come il “piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”, che aveva avuto 446 milioni nel triennio 2007-2209. Stessa fine per il “Fondo per la non autosufficienza”.

I paesi europei, dice il rapporto, citato da Repubblica, “stanno cercando di liberarsi dagli oneri derivanti dalla protezione degli strati sociali più deboli e dal mantenimento di una serie di servizi pubblici a suo tempo considerati essenziali per promuovere lo sviluppo economico-sociale e oggi ritenuti un fardello”.

I risultati di questa politica si vedono anche nei dati sulla povertà relativa, che oscilla tra il 10,2% e l’11,4% e negli ultimi anni è stabile. Peggiorano però le condizioni dei poveri, sempre più numerosi soprattutto al Sud, e aumentano i “vulnerabili”, cioè i candidati a diventare i prossimi poveri. Tra loro ci sono i bambini: il 22% dei minorenni vive in condizioni di povertà relativa in Italia e 650.000 (il 5,2%) in condizioni di povertà assoluta.

Quella dei più piccoli è una situazione legata a quella dei loro genitori: il 5,8 per cento dei cassintegrati ha figli. Chi perde il lavoro nel 72 per cento dei casi si trova già in una situazione difficile. E ci sono poi i “working poor”: lavorano, sì, ma guadagnano troppo poco. I working poor sono il 4 per cento al Nord e il 19,8 per cento al Sud.

Per molti, poi, la casa sta diventando un miraggio. Se l’81,5 per cento della popolazione ha una casa di proprietà, il 17,1 per cento in affitto si trova spesso in difficoltà. Gli affitti sono cresciuti senza sosta negli anni, con un aumento, tra il 1991 e il 2009, del 105 per cento. Per di più chi è in affitto è solitamente meno abbiente, e destina al canone il 31,2 per cento del proprio salario. Ecco giustificato l’aumento degli sfratti, cresciuti 18,6% nel 2008 rispetto all’anno precedente. Nei guai finisce sempre più anche chi ha acceso un mutuo: i mutui sospesi a fine 2010 sono stati 30.868, contro i 10.281 di inizio 2010.