Cronaca di un’inflazione annunciata

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 25 Febbraio 2011 - 13:14 OLTRE 6 MESI FA

Successivamente lo scenario è cambiato. A metà 2010 gli Stati Uniti hanno avviato una nuova, massiccia immissione di liquidità nel sistema, la cosiddetta fase 2 del “quantitative easing”. Sempre l’anno scorso la crisi dei debiti sovrani dei cosiddetti Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) ha indotto la Bce e i governi dell’eurozona a interventi di soccorso anche attraverso operazioni di mercato aperto (acquisto di titoli, anche bancari, sul mercato) che hanno accresciuto la liquidità. Tutto ciò avveniva sempre con tassi di interesse rasoterra. A differenza che nei due anni precedenti, però, le iniezioni di moneta si accompagnavano a una congiuntura in chiara risalita. Soprattutto le locomotive americana e tedesca ricominciavano a tirare e in questa nuova fase le ripercussioni dell’abbondante liquidità sull’inflazione hanno cominciato, seppur timidamente, a farsi sentire.

Nel frattempo a livello mondiale si manifestavano altri fenomeni, con caratteri sia congiunturali che strutturali, che provocavano forti incrementi nei prezzi dei generi alimentari e delle materie prime. Commodities come zucchero, riso, cereali e cotone in pochi mesi subivano apprezzamenti tra il 25 e il 100 per cento, causati da una molteplicità di fattori. Ne citiamo alcuni: una siccità che non si vedeva da 130 anni in Russia, intorno al Mar Nero e successivamente in Cina, in Argentina e in parte in Canada; al contrario, un eccesso di piogge in India che aveva provocato un drammatico aumento del prezzo delle cipolle, colà ingrediente basilare; una domanda di prodotti alimentari in aumento da parte dei paesi emergenti, in particolare un inedito consumo di proteine animali alla cui produzione debbono venire destinate quote crescenti di terreni per coltivarli a mangimi; l’utilizzo di grandi quantità di mais per la produzione incentivata di etanolo; una riduzione strutturale dei terreni coltivabili a vantaggio di quelli urbanizzati e un impoverimento altrettanto strutturale dei terreni supersfruttati e inquinati.

Tutto ciò, e altro ancora, si è riversato sui prezzi degli alimentari il cui Food Index targato Fao ha segnato negli ultimi due anni il massimo storico mai misurato. Le ripercussioni anche politiche non si sono fatte attendere: i sommovimenti, in Tunisia, Egitto, Libia, Iran e in altri paesi ancora, certo non dipendono esclusivamente dal caro-pane ma probabilmente ne hanno ricevuto una potente spinta. Si pensi che in uno Stato come l’Egitto la spesa alimentare è pari mediamente al 48 per cento dell’intera spesa per consumi, mentre vi sono altri paesi africani, nonché India, Bangladesh e Vietnam, dove tale percentuale supera il 50 per giungere al 73 (Nigeria).

Un’altra importante deriva inflazionistica è venuta nell’ultimo biennio, e si è accentuata negli ultimi mesi, dal fronte dei prezzi delle materie prime non alimentari. Nello scorso semestre il rame è aumentato del 36 per cento, l’argento del 65, l’indice Dow Jones delle materie prime del 23, l’oro macina record dopo record ormai da molto tempo. Per non parlare del petrolio. L’oro nero costava 25,6 dollari al barile nel 1999; dopo il forte rialzo a metà 2008 è tornato a poco più di 30 dollari a dicembre 2008; alla fine dell’anno scorso una nuova impennata lo portava a 91 dollari per superare i 100 (120 per il “brent” del Mare del Nord: è un record anche dello “spread” con i prezzi degli altri tipi di greggio) durante la rivolta contro Gheddafi (quotazioni del 24 febbraio). La crisi in Libia, il paese africano più ricco di riserve e da cui l’Italia acquista il 20-23 per cento delle sue importazioni complessive di greggio e il dieci per cento del gas, ha già dato un suo contributo al balzo delle quotazioni, fors’anche al di là del ragionevole, considerato il peso specifico di quel paese la cui produzione di greggio non supera il due per cento di quella mondiale (assommando quelle degli altri Stati nordafricani scossi dai venti rivoluzionari, non si supera il 5-6 per cento). La corsa delle materie prime non alimentari ha anch’essa varie spiegazioni. La principale è che in particolare i paesi del cosiddetto gruppo Bric (Brasile, Russia, India e Cina) conoscono uno sviluppo sostenuto e sospingono una richiesta di materie prime che fa esplodere i prezzi.