ROMA – Poteva essere la rivincita del singolo cittadino contro i ritardi e gli errori della Pubblica amministrazione. Un risarcimento di 50 euro per ogni giorno di ritardo dovuto alla lentezza del funzionario pubblico nello smistare e velocizzare le pratiche. Ma in realtà questa norma, contenuta nel “decreto del fare”, si è rivelata un bluff, anzi un doppio bluff.
Intanto il tetto è stato dimezzato: 50 euro al giorno sì, ma con un massimo di 2 mila euro (fanno 40 giorni). Ma poi tra le righe della norma stessa si scopre che questa vale per le sole imprese e non i singoli cittadini, insomma per i privati sì, ma solo per le aziende. E anche per le aziende ottenerla è quasi impossibile perchè per reclamare quei 50 euro per ogni giorno di ritardo bisogna conoscere i tempi di ogni procedimento. Cosa difficile perché chi dice alle aziende i tempi esatti della pratica? Lo dovrebbe dire la stessa pubblica amministrazione responsabile del ritardo. Autodenunciarsi per pagare poi la multa? Fantascienza.
Un esempio. Per protestare contro le scadenze allungate per un permesso o un’autorizzazione i titolari delle imprese dovrebbero conoscere i tempi di ogni singolo procedimento, rintracciabili in modo chiaro sui siti Internet. Questo presuppone uno scadenzario visibile a tutti che in teoria dovrebbe già esistere, ma che ben pochi – tra ministeri, Comuni, Province, Regioni, Asl, Inps e compagnia – hanno reso pubblico.
Gli uffici pubblici inoltre dovrebbero nominare una sorta di commissario che subentri al dirigente inadempiente per terminare la pratica oppure liquidare il danno. Se questo non avviene, parte l’iter giudiziario. Un calvario per l’impresa che ricorre al Tar, fa opposizione se il ricorso è respinto, attende il verdetto, propone di nuovo ricorso se è sfavorevole. Mesi di attesa e carte bollate, roba da far passare la voglia.
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