Coronavirus. Dipendenti pubblici in smart working, è stata vacanza pagata al 100%? Coronavirus. Dipendenti pubblici in smart working, è stata vacanza pagata al 100%?

Dipendenti pubblici in smart working, è stata vacanza pagata al 100%?

ROMA – Dipendenti pubblici per tre mesi o giù di lì in smart working, è stata di fatto vacanza dal lavoro pagata al cento per cento della retribuzione?

Quel che milioni di esasperati lavoratori autonomi hanno da settimane sulla punta della lingua ha finito per dirlo Pietro Ichino, giuslavorista (cioè specializzato in studi sulla legislazione del lavoro) e uomo alquanto eterodosso della sinistra (tra lui e la Cgil sempre pessimo sangue).

DIPENDENTI PUBBLICI: STIPENDIO PIENO

Più che sulla vacanza, cioè sul non aver lavorato, la questione sollevata da Ichino è quella dello stipendio pieno. Perché i dipendenti pubblici hanno conservato in tempi di impossibilità di recarsi al lavoro lo stipendio pieno e invece i lavoratori del settore privato hanno avuto la Cassa Integrazione guadagni che paga tra il 60 e l’80 per cento dello stipendio appunto?

La risposta sta nel fatto che il datore di lavoro dei dipendenti pubblici è lo Stato ma, detta così, è alquanto tautologica. Somiglia cioè ad un è così perché è così. Non sarebbe stato più giusto e forse più utile sostenere i dipendenti pubblici non al lavoro con percentuali di stipendio simili a quelli dei lavoratori privato e destinare le risorse così risparmiate a incentivi salariali a favore di chi lavorava davvero, tipo infermieri, medici, autisti, forze dell’ordine..?

SINDACATI: E’ STATO LAVORO VERO

Sindacati dei dipendenti pubblici replicano: è stato lavoro vero quello in smart working, da remoto ha lavorato per davvero circa l’ottanta per cento dei pubblici dipendenti. Quindi a pari lavoro giustamente ha corrisposto pari salario: lavoro pieno quindi stipendio pieno.

RANCORI DI LOBBY

Contro i dipendenti pubblici e comunque in generale contro chiunque non abbia subito danni diretti o li abbia subiti in minima parte c’è l’evidente, dichiarato, smisurato e in alcuni casi insensato rancore di lobby del lavoro autonomo. Chi è stato per tre mesi o giù di lì senza entrate per la chiusura della sua azienda o bottega o studio vede in chi ha ricevuto stipendi o anche solo Cassa Integrazione dei privilegiati e comunque soprattutto dei concorrenti alla raccolta di pubblico denaro.

A questo si aggiunge la sedimentata (talvolta ingiusta ma solo talvolta) opinione secondo la quale i dipendenti pubblici non siano proprio macchine da lavoro. Che siano troppi, inutili e il loro stipendio una spesa eccessiva per la collettività. Non è vero siano troppi in rapporto alla popolazione, i loro stipendi sono tra i più bassi d’Europa, non quelli dei dirigenti però che sono tra i più alti d’Europa. Non hanno meccanismi interni che premino efficienza e risultati, i loro sindacati hanno strutturati comportamenti corporativi, sono ostili ad ogni riforma, costituiscono parte integrante dell’Italia dei veti, si sentono sotto pagati e vittime di un lavoro alienante e non riconosciuto. Insomma rancori di lobby contro lobby.

Quindi troppo facile per essere vero l’immaginare lo smart working dei dipendenti pubblici come vacanza pagata. Non sembra si possa sostenere che da remoto non abbiano lavorato ma solo preso lo stipendio. Però raccontare che l’ottanta e passa per cento di loro ha lavorato da casa come fosse in ufficio è altrettanto immaginario, immaginifico, anzi improbabile.

PROVOCAZIONE E PROBLEMA

Dipendenti pubblici, dire non abbiano lavorato e preso lo stipendio a fine mese più o meno a sbafo è una provocazione in perfetto abito qualunquista, più o meno come dire che tutti quelli che stanno chiedendo e ottenendo il prestito garantito dallo Stato mai lo ripagheranno perché faranno sparire azienda e soldi. Problema vero è invece perché una fabbrica o un ristorante chiusi per lockdown paga tramite Stato ai suoi dipendenti il 60/80 per cento del salario e invece un ufficio Comunale chiuso paga al suo impiegato tramite Stato il cento per cento?

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